Il dibattito sulla dimensione sociale dell’Europa è tornato finalmente al centro dell’attenzione, ma senza la partecipazione dei cittadini sul pianio internazionale la discussione politica rischia di restare intrappolata in schemi del passato, che parlano di processi sociali e produttivi già finiti o in rapido cambiamento.
Il dibattito sulla dimensione sociale dell’Europa è tornato finalmente al centro dell’attenzione. La pubblicazione di marzo del “Libro bianco sul futuro dell’Europa, riflessioni e scenari per l’UE a 27 verso il 2025”, la dichiarazione dei capi di Stato del 25 marzo, le statistiche prodotte dalla BCE e l’immensa pubblicazione “Monitoring social inclusion in Europe” dell’Eurostat ne sono esempi evidenti. Nonostante questo, la reazione dell’UE non è chiara, i documenti proposti dai Capi di Stato rimangono elusivi, gli strumenti per attuare delle risposte incisive lacunosi.
La crisi economica persiste in diverse aree europee e la lenta ripresa dell’economia nel continente non intacca le forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito.
La BCE nel bollettino economico dell’11 Maggio[1] colloca il livello di disoccupazione dell’eurozona al 9,5%, mostrando un calo più repentino rispetto alle attese; questo dato, letto singolarmente, risulta impreciso perché se sommato alla stima dei sotto-occupati la quota raggiunge il 18%. La disoccupazione giovanile rimane una piaga dell’area euro, in particolare in Grecia (45,5%), Spagna (39.2%) e Italia (35.4%)[2]. In Italia l’ISTAT ha presentato il suo Rapporto Annuale ricostruendo un’immagine del paese attraverso nuove categorie sociali che riformulano la più tradizionale divisione in classi in favore di una frammentazione incredibilmente più arbitraria. Se da una parte l’intento sembra quello di innovare la discussione sociologica di una società in mutamento, dall’altro il rischio è di perdere la possibilità di valutare approfonditamente le opportunità di mobilità sociale e quindi di politiche necessarie perché questo avvenga.
La BCE, sempre nello stesso bollettino, cerca di individuare delle risposte alla disoccupazione giovanile collocandole sostanzialmente dal lato dell’offerta e redistribuendo quindi il costo delle soluzioni del problema sui diretti interessati: “(1) il miglioramento della qualità e della rilevanza dell’istruzione per il mercato del lavoro anche attraverso sistemi di apprendistato ben sviluppati; (2) la garanzia di un sistema ben funzionante e responsabile di fissazione dei salari, anche per quanto riguarda quelli minimi; (3) l’ottimizzazione del ruolo dei servizi di collocamento e l’adozione di politiche attive concernenti il mercato del lavoro per sostenere i disoccupati nei periodi di transizione e accrescerne le possibilità di occupazione; (4) una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro per facilitare l’alternanza scuol- lavoro e rendere più semplice la transizione dal mondo della scuola a quello del lavoro.”
Il “Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell'Europa” pubblicato dalla Commissione il 26 Aprile tenta ugualmente di porre le basi per un dibattito sul tema, ma le tre opzioni per il futuro – così come vengono presentate nel testo riprendendo la logica del "Libro bianco sul futuro dell’Europa” - appaiono estremamente differenziate e una di queste è persino conservatrice: 1) “Limitare la dimensione sociale alla libera circolazione”, cosa che comporterebbe la rinuncia a qualsiasi forma di istituzionalizzazione della dimensione sociale sul piano europeo; 2) “Chi vuol fare di più, potrebbe fare di più in campo sociale”, si tratta in questo caso dell’unica strada realisticamente percorribile in cui è possibile inserire una prospettiva federale per quei paesi pronti a farlo; 3) “I paesi dell'UE a 27 potrebbero approfondire insieme la dimensione sociale dell'Europa”, si usano quindi gli strumenti esistenti per armonizzare e fissare standard minimi per tutti gli stati.
Parafrasando (male) un detto francese: rien ne va plus, les jeux ne sont pas faits. Tradotto, non si può più far niente, ma i giochi non sono ancora iniziati. Gli elementi sopra citati non fanno che sollevare infatti un problema cruciale: non esiste ancora una risposta politica al tema della disoccupazione e della disuguaglianza e comunque non abbiamo ancora gli strumenti per attuarla, senza dimenticare lo spettro della dis-integrazione (sociale e del processo di unificazione) che si aggira per l’Europa.
A trattati esistenti sarebbe anche possibile cominciare a promuovere soluzioni di medio termine, per arginare le disparità esistenti e riavvicinare i cittadini alle istituzioni europee, quali ad esempio: un reddito minimo combinato a servizi di formazione, forme di assicurazione contro la disoccupazione e ammortizzatori sociali. Si potrebbe iniziare creando un bilancio aggiuntivo per la zona euro che investa in beni pubblici europei superando l’attuale logica redistributiva per innescare uno sviluppo sostenibile nei settori strategici ed innovativi, che genererebbero posti di lavoro di lungo periodo.
Inoltre, l’obiettivo di un’unione federale degli stati dell’Eurozona (o di alcuni di essi), e quindi un’unione fiscale, garantirebbe la sostenibilità di misure sociali rilevanti di lungo periodo, come una politica di lotta alla povertà assoluta e relativa. La stessa nuova figura di un Ministro economico per l’Eurozona faciliterebbe l’avvio di una politica sociale europea, dal momento che la politica di bilancio non potrebbe non contemplare un capitolo ad hoc su questo fronte. All’opposto, le singole misure nazionali sul fronte sociale, si presentano come misure-tampone, di scarsa efficacia e di breve durata, spesso legate alla durata del governo che le ha promosse: dei palliativi somministrati a breve termine e destinati ad estinguersi.
Il punto di partenza deve essere chiaro: trasformare le istituzioni significa trasformare la società, per governare processi che di fatto sono già in corso. La prospettiva federalista in questo senso non è solo una proposta istituzionale per far fronte a tali processi, ma è anche la possibilità di un cambiamento radicale nel modo di affrontarli nel quadro di un inventario valoriale che non può più essere messo in discussione e che necessita di essere istituzionalizzato.
Siamo infatti ancora lontani da una riflessione di lungo periodo rispetto al tipo di modello socio-economico che l’Unione Europea vuole adottare e come intenda farlo. Se la crisi, nella definizione di Gramsci, è “quel momento in cui il vecchio muore ed il nuovo stenta a nascere”, la volontà politica può e dovrebbe essere però il motore di quel processo. Il tema dell’occupazione non può essere affrontato in modo indipendente dai cambiamenti in atto nella nostra società e nel processo produttivo, quali ad esempio, la manifattura 4.0, l’automazione del lavoro, il problema energetico. Così come non può essere distinto dalla necessità di investire in ricerca scientifica e innovazione.
La discussione politica di oggi è intrappolata in schemi del passato, che parlano di processi sociali e produttivi già finiti o in rapido cambiamento. Non c’è da stupirsi, vale l’antica lezione federalista: senza un assetto istituzionale che lo consenta, difficilmente si aprirà un dibattito sul futuro.
I cittadini devono cominciare ad essere i protagonisti di questo dibattito ed essere politicamente coinvolti sul piano sovranazionale, da cui per troppo tempo sono stati esclusi, anche se molte volte nella storia del processo di integrazione hanno chiesto di essere ascoltati. Senza una reale partecipazione dei cittadini europei, qualsiasi dichiarazione o pubblicazione risultano insufficienti e non rappresentano, agli occhi degli europei, qualcosa di cui fare direttamente esperienza. Che progetto sarebbe dunque, quello europeo, senza dei cittadini che ne facciano parte o che si sentano coinvolti?
La tutela dei diritti sociali deve essere un elemento portante delle fondamenta identitarie e valoriali del progetto di unione federale Se questo non accadrà perderemo tutto: c’è bisogno di una prospettiva di un nuovo welfare europeo, che sappia coniugare una tutela dei diritti sociali con le nuove dimensioni del lavoro.
[1] https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bollettino-eco-bce/2017/bol-eco-3-2017
/bollecobce-03-2017.pdf
[2] ANSA, https://goo.gl/tgew4H