Il trenta giugno è scaduto il termine per richiedere il settled status per la maggior parte dei cittadini dell’Unione europea nel Regno Unito. Il governo inglese aveva emesso, infatti, degli avvisi per invitare lavoratori, studenti, pensionati, etc., a richiedere di sanare la propria posizione e poter rimanere legalmente in UK a tempo indeterminato. Alcune deroghe a tale data sono state previste per situazioni particolari, come nel caso dei ricongiungimenti familiari.
I requisiti previsti nell’EU Settlement Scheme per poter fare domanda sono: essere cittadini europei (o di Paesi quali Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein) o parenti di uno di essi; risiedere nel Regno Unito da almeno 5 anni entro la fine del 2020. Per chi aveva meno anni di presenza c’era la possibilità di accedere, invece, al pre-settled status. Era possibile inoltrare la richiesta online. A seguito dell’ottenimento del nuovo status, dopo 12 mesi si potrà fare eventualmente domanda per la cittadinanza britannica.
Si fa sentire così il peso di quello che è stato definito il “divorzio del secolo” sulla vita dei singoli. Il rischio, infatti, per tutte queste persone era di ritrovarsi clandestini all'interno di contesti presso i quali potrebbero aver vissuto per più di 40 anni. L'avviso ha riguardato tutti i cittadini europei, chiaramente non titolari contemporaneamente della cittadinanza britannica, arrivati dopo il 1973 (anno di adesione dell’UK all’allora Comunità europea). Questo perché coloro i quali abbiano iniziato a risiedere nel territorio del Regno prima dell'ingresso dovevano a monte aver rispettato le condizioni previste dalla legislazione in materia di immigrazione. Superata quella data, però, le persone - in base anche all'evoluzione dei diritti legati alla cittadinanza europea - hanno potuto trasferirsi per motivi di studio, lavoro e così via, senza più la necessità di rispettare criteri che non fossero quelli previsti dalla normativa europea in senso lato.
Il settled status così come delineato dal governo di sua maestà permetterà a quanti ne avranno fatto domanda di continuare a beneficiare del diritto di residenza, potendo quindi accedere ai servizi e a tutte le prestazioni del welfare britannico. Diversamente il rischio è quello di entrare in uno status di illegalità e addirittura essere sottoposti ad espulsione.
L'elemento che maggiormente lascia perplessi in merito a questa vicenda è di carattere morale. Molti commentatori hanno, infatti, sottolineato come si sia creato il paradosso per centinaia di migliaia di persone di aver vissuto e contribuito per diversi decenni ad un sistema economico e sociale senza la necessità di espletare particolari richieste in merito al diritto alla cittadinanza. Molti di questi soggetti avrebbero maturato anche le condizioni per richiedere la cittadinanza britannica, senza sentire mai il reale desiderio né necessità di richiederla poiché sotto l’ombrello di quella europea. Pertanto, sarebbe stato utile applicare tali nuovi criteri agli arrivi post Brexit e concedere automaticamente il settled status a tutti coloro i quali risultassero costantemente residenti in UK prima della Brexit.
Sebbene da quanto riportato dal governo e dall’esperienza di molti che hanno presentato le domande la procedura possa risultare agevole, ci sono categorie di persone che rischiano di non essere in grado di effettuare l’application entro i termini stabiliti. Si tratta delle persone anziane e poco avvezze all'uso degli strumenti informatici, ma non solo. Una categoria di particolare rilievo è anche quella dei minori. Molte delle associazioni nate proprio a seguito della Brexit per tutelare i cittadini europei in territorio britannico, come The3Million, hanno segnalato tale problematica. Questa organizzazione, in particolare, ha stilato un report in cui registra come almeno il 10% delle persone che hanno effettuato domande hanno riscontrato dei problemi nell'invio e nel caricamento dei dati sul portale dedicato.
In tale discorso sta risultando molto importante il ruolo della società civile, che attraverso campagne informative sta aiutando nella diffusione di notizie, con l’ausilio di webinar e l’uso dei social media, sui cambiamenti riguardo i diritti di cittadinanza e di residenza per coloro che non dovessero riuscire a fare domanda per lo status ad hoc previsto dalla legislazione britannica a partire dal primo luglio. Come riportato anche dal Times in un articolo di pochi giorni fa, il governo ha stimato che un cittadino su sei rientrante nei requisiti prescritti dalla legge non ha presentato domanda, vale a dire circa 130.000 persone. Attualmente non sono ancora disponibili dati certi, quindi risulta impossibile effettuare un confronto tra previsioni e rilevazioni effettive. In ogni caso, le cifre sembrano essere considerevoli.
Il governo provvederà ad una messa in mora, in modo da garantire l’accesso a tale opportunità a chi dovesse aver riscontrato problemi nella presentazione della domanda, e si è dichiarato «compassionate and flexible» per andare in contro alle esigenze soprattutto delle persone vulnerabili. L’auspicio è che comunque tutti gli europei vedano riconosciuti i propri diritti, a fronte di un legame con il territorio duraturo e costante.
Le controparti nell’UE
Come per i cittadini europei si è reso necessario registrarsi e dimostrare di avere trascorso una considerevole porzione di tempo nel Regno unito, il discorso si sta presentando anche per i britannici residenti nei Paesi Membri. Ogni Stato avrà la facoltà di regolamentare la presenza dei cittadini britannici sul proprio territorio, applicando procedure ad hoc. Il tutto – ovviamente - dovrà avvenire nel rispetto dell’articolo 18 dell’accordo di recesso stipulato tra Regno Unito e Unione europea.
Il trenta giugno è scaduto il termine per fare domanda di permanenza da parte dei cittadini britannici in Francia, Lettonia e a Malta, mentre nei Paesi Bassi la deadline è fissata al primo ottobre. Per quanto riguarda gli altri Paesi Membri, molti stanno scegliendo di seguire i dettami dell’accordo di recesso, senza prevedere particolari scadenze per regolamentare le modalità di richiesta di residenza dei cittadini del Regno unito sul proprio territorio. Tra gli Stati che hanno scelto di agire in tal senso troviamo Belgio, Germania, Lussemburgo, Spagna e Portogallo. Anche l’Italia fa parte di questo secondo gruppo. Il Viminale alla fine dello scorso anno ha diffuso un vademecum per spiegare le modalità attraverso le quali ottenere un documento di soggiorno in formato elettronico. Tale documento potrà essere della durata di 5 o 10 anni a seconda delle caratteristiche del richiedente.
In ogni caso il requisito fondamentale è la residenza antecedente al 31 dicembre 2020. Per tutti coloro che si saranno trasferiti per motivi di lavoro, studio, etc., nei Paesi Membri dopo tale data si applicheranno le normative dedicate ai Paesi terzi.