L’invasione dell’Ucraina rappresenta un punto di svolta nella storia degli anni Venti del ventunesimo secolo: in soli cinque giorni, la gravità e pericolosità dell’attacco russo - ritenuto impensabile solo una settimana prima – ha messo i governi degli Stati europei, i veri signori dell’Unione Europea, di fronte alla necessità di prendere scelte politiche senza precedenti in politica estera, energetica, industriale, di difesa e migratoria. Queste politiche per il momento sono scelte esclusivamente nazionali prese in modo coordinato - all’unanimità, come nel caso della vicenda Swift - perché non esiste ancora un livello sovranazionale che ha il potere di assumere decisioni.
La lentezza del processo decisionale è solo un aspetto del problema. Ben più grave è che ogni politica di respiro europeo, dovendo poggiare su basi nazionali per la decisione, l’esecuzione e l’amministrazione, conta su poche risorse e su sistemi industriali frammentati. Molti commentatori invocano di realizzare varie “unioni” in settori particolari come difesa ed energia, ma è nostra opinione che senza un’unione politica, quindi con un passaggio istituzionale, non sarebbe possibile realizzare alcuna di esse.
Qui di seguito alcuni segnali di questo cambio di passo.
Staccare la spina dello Swift alla Russia: un’arma a doppio taglio per l’Europa.
La sanzione più minacciata dagli Usa e sempre presentata come “la” sanzione economica che avrebbe causato il maggior danno possibile alla Russia, ossia l’esclusione dal sistema di comunicazione Swift per i pagamenti bancari, è esemplare della situazione di divisione istituzionale a livello europeo.
La minaccia americana non è stata inizialmente condivisa dai Paesi europei, soprattutto perché significa l’impossibilità dei Paesi importatori di gas russo di effettuare i pagamenti internazionali. Questa difficile scelta di sapore amaro per Paesi ormai dipendenti dal gas russo per gli anni a venire, anche per via degli obiettivi da raggiungere secondo il programma di decarbonizzazione Fitfor55, è resa ancora più complicata dalla minaccia di chiudere i rubinetti del gas nel caso gli europei non assecondassero le richieste russe.
La minaccia si è trasformata in sanzione due giorni dopo l’inizio dell’invasione. Italia e Germania, fino a quel momento i più strenui oppositori, hanno dovuto far marcia indietro anche per non apparire di fronte alle opinioni pubbliche non solo deboli, ma privi di scrupoli e non allineati in una ferma condanna alla Russia dove più le farebbe male. Proprio in questi giorni giunge la decisione unanime dei governi europei e nord americani di escludere la Russia dal sistema Swift ma con l’eccezione di alcune banche, per evitare il blocco di importazioni di gas per mancanza di pagamenti. Alla data in cui si scrive sono ancora imprevedibili le conseguenze che questa mossa avrà sull’economia europea che, costretta ad affrontare il caro bollette, ora si trova anche i danni dal blocco delle esportazioni verso la Russia.
In questo scenario, da più parti si invoca che l’Unione europea si faccia carico di ripartire equamente i danni economici derivanti dal blocco delle importazioni/esportazioni e dal rischio energetico, e soprattutto crei un sistema comune di acquisto dell’energia per aumentare in modo decisivo il potere negoziale rispetto a quello di Paesi membri che negoziano per proprio conto.
Per sostenere la resistenza Ucraina si muovono i primi passi per la difesa europea
Come la crisi epidemica del Covid, quella che fino a una settimana fa era considerata la più grande nella storia della UE, ha dato vita ad un embrione di bilancio comune, così la crisi della guerra portata da Mosca ai confini d'Europa, sta facendo nascere la necessità di difesa comune: al momento ogni Paese europeo affronta la situazione a livello nazionale. Il cambio di passo più evidente è quello della Germania di Olaf Scholz: nel giro di poche ore stanzia cento miliardi di euro per le sue forze armate e si impegna a mantenere i suoi investimenti in difesa al di sopra di quel 2% del prodotto interno lordo all’anno che aveva promesso e mai mantenuto in sede Nato.
Siamo convinti che nel momento in cui i governi si renderanno conto che nessun Paese, preso singolarmente, può affrontare spese militari tali da opporre una difesa efficace contro una superpotenza nucleare, e allo stesso tempo senza intaccare stato sociale e aggravare l’indebitamento pubblico, solo in quel momento si avvieranno verso quell’Unione politica necessaria per realizzare una difesa comune europea.
Da che parte dovrebbe stare l’Europa?
In un confronto bipolare, dove solo le voci delle superpotenze riescono a fare la differenza, abbiamo per la prima volta la possibilità di non stare né con gli americani, né tantomeno coi Russi, ma di assumere una nostra posizione nei confronti di quanto sta accadendo e prendere decisioni che tutelino, innanzitutto, il benessere e la stabilità del nostro continente.
Dopo la presidenza Trump, la linea di disinteresse nei confronti di un’Europa vista sempre meno come alleato strategico e utilizzata soltanto come amplificatore delle decisioni americane, ci deve far raggiungere la consapevolezza che non possiamo essere a tal punto succubi di alcuna superpotenza tanto da sacrificare i nostri interessi. Non dobbiamo essere avversari degli statunitensi, ma meno vincolati alle loro decisioni: questo è il pretesto giusto per attuare questo passaggio, perché oggi i nostri interessi sono nettamente divergenti rispetto a quelli americani.
La classe dirigente europea ha il compito di tutelare i propri cittadini e non gli americani o inglesi o peggio i russi. Deve poter essere libera di scegliere le proprie alleanze, essendo garante di pace, senza il consenso o la benedizione degli Usa. Ma parlando francamente, questa situazione di autonomia resterà un’utopia se non vi si giungerà attraverso la costituzione di una politica di difesa e sicurezza a sé stante, che necessita, di conseguenza, dell’unificazione politica di tutti gli Stati europei.
Una voce coesa nello scacchiere internazionale, un polo alternativo, più affidabile, che ripudia qualsiasi guerra, sarebbe necessario in un mondo dove i Paesi più forti, ancora oggi, nel 2022, giocano a minacciare la libertà dei propri vicini e pretendono di dettare, in base alle proprie esigenze, la direzione lungo la quale dovrebbe “girare” il mondo.