Non è sufficiente leggere un quotidiano, non è sufficiente nemmeno documentarsi sulla migliore rassegna stampa di ispirazione europeista.
I federalisti devono provvedere da sé a una produzione di articoli, saggi, libri che, utilizzando gli occhiali della propria ideologia per interpretare i fatti del mondo, contribuisca alla formazione continua di chi scrive e di chi legge, alimentando il pensiero condiviso del Movimento Federalista Europeo e tenendolo aggiornato rispetto alla elevata velocità con la quale il mondo di oggi evolve.
C’è poi una parte altrettanto importante, quella del dibattito vis-à-vis tra militanti, nelle riunioni istituzionali e negli incontri promossi dall’Ufficio del Dibattito per occuparsi delle emergenze teoriche che riguardano l’azione del MFE.
Questo sforzo collettivo porta coloro che ne sono parte a mantenere vivace la peculiarità che deve contraddistinguere un movimento rivoluzionario: quella di un pensiero autonomo ed esterno alle categorie comunemente utilizzate, che in prevalenza considerano ancora oggi lo stato nazionale come l’entità più elevata di esercizio del potere politico. Questa è l’irrinunciabile base per agire nel processo storico avendo chiari la finalità e il punto di minor resistenza sul quale insistere in un dato momento, con un diverso ordine di priorità rispetto agli altri attori della politica, ma allo stesso tempo ancorati alla realtà dei fatti per rifuggire dal rischio sempre presente di finire a fare testimonianza senza però incidere nella storia.
Per questo ho sempre auspicato che anche i militanti giovani si avvicinino quanto prima alla produzione culturale e alle riunioni fisiche del Movimento: in questo modo si impara ad indossare gli occhiali interpretativi e a mantenerli puliti nel tempo.
L’Unità Europea è parte di questo lavoro comune. Ha una storia gloriosa lunga quasi ottant’anni, fin da quando era un bollettino clandestino. Ha la doppia funzione di commentare gli avvenimenti d’attualità che abbiano un interesse per i federalisti, e di dar conto della vita del Movimento Federalista Europeo e dell’azione che i federalisti mettono in campo.
Nel corso della riunione del Comitato federale del MFE del 27 novembre, ho avuto l’onore di essere nominato direttore di questo giornale. Torno ad occuparmene, dopo che in passato ho curato per diversi anni le rubriche delle attività delle sezioni e dell’osservatorio federalista.
Ringrazio il mio predecessore Jacopo Di Cocco, e anche i precedenti direttori, per il grande lavoro svolto negli anni grazie al quale ricevo in eredità una macchina organizzativa collaudata e una piccola ma laboriosa redazione. Ringrazio Luca Lionello che, dopo aver collaborato con Di Cocco nel precedente mandato, continuerà nel suo impegno avendo ora il ruolo di vice-direttore.
In questi mesi abbiamo delle opportunità da sfruttare: con la Conferenza sul Futuro dell’Europa (#CoFoE) che entra nella sua fase più “calda”, è compito dei federalisti spingere le forze politiche e sociali favorevoli a un’Europa federale a mobilitarsi nel contesto della Conferenza affinché essa richieda con forza una modifica dei trattati UE, con l’abolizione del diritto di veto nel Consiglio e l’attribuzione della piena co-decisione al Parlamento europeo, l’istituzione di un bilancio federale europeo e di una politica estera e di difesa europea dei quali sia responsabile un vero governo federale che goda della fiducia del Parlamento europeo. Da mesi le sezioni stanno organizzando eventi sul territorio a sostegno delle nostre proposte, pubblicate sulla Piattaforma della #CoFoE, che hanno ottenuto un numero di adesioni tale da farle risultare tra le più votate nelle rispettive aree di dibattito. Abbiamo ancora una volta dimostrato che non siamo un’organizzazione “virtuale”, ma radicata sul territorio grazie alle nostre sezioni.
Il contesto è favorevole: il nuovo governo tedesco ha inserito nel proprio programma l’obiettivo dello stato federale europeo e l’auspicio che la #CoFoE sfoci in una Convenzione costituente. Il Trattato del Quirinale siglato da Francia e Italia pone l’obiettivo di un’“Europa democratica, unita e sovrana”. Nelle primissime pagine del programma della presidenza semestrale francese del Consiglio dell’Unione europea (1 gennaio – 30 giugno 2022) si legge che “Rafforzare la democrazia europea sarà una priorità. La presidenza francese, in qualità di membro del Comitato esecutivo della Conferenza sul Futuro dell’Europa, contribuirà attivamente alla Conferenza. […] La presidenza francese si adopererà per assicurare che le riflessioni sul futuro dell’Europa identifichino le priorità di azione futura dell’Unione europea e conducano a misure quanto più possibile concrete per identificare i mezzi per implementarle”.
In questi giorni, la Storia ci presenta con la sua durezza un nuovo caso di “federatore esterno” (una minaccia così grave che dovrebbe indurre la classe politica a prendere finalmente una decisione tra le due alternative secche indicate da Aristide Briand: “Unirsi o Perire!”). L’anarchia internazionale è drammaticamente davanti agli occhi di tutti. La decisione della Russia di avviare l’invasione dell’Ucraina riporta in Europa lo spettro della guerra, e dimostra che l’Unione europea non è ancora una Federazione ed è debole nel momento in cui per prendere decisioni deve riunire ventisette capi di stato e di governo (o i ventisette ministri competenti in materia), mentre la Commissione europea ha implicitamente un mandato ad agire solo se c’è un accordo almeno tra i governi più importanti. Non c’è una struttura di governo europea, autonoma rispetto agli stati nelle questioni di interesse europeo.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nel frattempo, non può nemmeno condannare la mossa della Russia, perché bloccato da…il diritto di veto che tutt’ora spetta alla Russia, come agli altri vincitori della Seconda guerra mondiale.
Gli USA non sono più il gendarme del mondo e attraversano un processo di declino inarrestabile. Tutti ricordano il disastroso ritiro dall’Afghanistan dell’agosto 2021. Gli europei dovrebbero disabituarsi dalla forma mentis che deriva da decenni vissuti sotto la protezione americana, secondo la quale alla sicurezza del Vecchio continente provvederà per sempre lo Zio Sam. A un anno dall’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, l’ex Presidente Jimmy Carter ha scritto sul New York Times che teme la fine della democrazia negli Stati Uniti d’America. Secondo l’economista americano Jeffrey D. Sachs, lo scenario peggiore “potrebbe persino portare a un ritorno al potere di Trump con le elezioni presidenziali del 2024, tra disordini sociali, violenza, propaganda mediatica e soppressione del voto negli Stati controllati dai Repubblicani”.
Viene da sperare che i governi più avveduti portino a compimento in tempi brevi – siamo già in ritardo di decenni! – il processo iniziato dai padri fondatori, ma non va dimenticato che i governi sono al tempo stesso strumento ma anche ostacolo del processo di unificazione europea, perché molto difficilmente rinunceranno a cuor leggero agli ultimi bastioni della loro ormai fittizia sovranità.
La mobilitazione dei cittadini, delle organizzazioni della società civile, e degli esponenti politici più avveduti resta decisiva per vincere le resistenze, e con la #CoFoE abbiamo un campo da gioco. E noi siamo giocatori, non siamo tifosi.
Questa battaglia per l’affermazione della democrazia a livello sovranazionale non ha quindi una valenza solo europea: l’arretramento della democrazia denunciato anche da Papa Francesco presenta manifestazioni preoccupanti in vaste aree del mondo, oltre che in alcuni paesi della stessa Unione europea: in questo numero, pubblichiamo un articolo sul caso della Polonia. Lottando per istituire una Federazione europea, lavoriamo per salvare la democrazia tout court nell’unico modo possibile: sconfiggendo il principio di sovranità assoluta dello stato nazionale ed estendendola a livello europeo, e in prospettiva mondiale.
Buon lavoro a tutti.