In uno degli articoli concettualmente più densi dei Federalist Papers (il numero 39), James Madison chiarisce la natura del compact (accordo) federale, dal quale tra il 1787 e il 1789 si originano gli Stati Uniti d'America. Egli distingue un'origine statale del compact (gli Stati che si sono ribellati alla Gran Bretagna hanno creato la Federazione) da un'estensione nazionale dei poteri delegati dalla Costituzione al government federale (Camera dei Rappresentanti e Senato, Presidenza della Federazione, Corte suprema e corti federali), e delinea un processo decisionale (il meccanismo di formazione delle istituzioni federali) ad un tempo statale e nazionale. Per Madison, le singole comunità statali componenti la Federazione sono diverse dalla 'nazione americana', ma quest’ultima è formata dai cittadini di quelle stesse comunità che hanno aderito al compact federale. Si riconosce così un'identità politica americana forgiata, come Jay sottolinea nell’articolo di esordio dei Federalist Papers, durante la guerra d'indipendenza.

Il senso dell’analisi del compact federale di Madison è il seguente: 1) sono gli Stati ad aver sollecitato la redazione di una Costituzione comune; 2) la Costituzione stabilisce che vi sono dei poteri che il government esercita in esclusiva a beneficio di tutti: i provvedimenti  attuano i poteri delegati (difesa comune, politica estera, commercio estero e moneta) e, in tali ambiti, essi ricadono senza mediazioni ulteriori su tutti i cittadini della Federazione a prescindere dallo Stato cui appartengono (Costituzione USA, art. 1, sez. 7); 3) gli organismi che prendono quei provvedimenti sono costituti tramite procedure democratiche che mediano la volontà della 'comunità nazionale' (carattere nazionale) con quella degli Stati (carattere statale).

Le procedure di formazione degli organismi federali hanno subito però, fin dai primi decenni della storia statunitense, delle modifiche, dovute sia ad emendamenti alla Costituzione, sia a pratiche politiche, che J.C. Calhoun definì 'usi di partito', che hanno reso di fatto 'nazionale' il processo decisionale e tradito così lo spirito del compact federale.

Secondo il dettato originario della Costituzione, i membri del Senato, due per ciascuno Stato, erano eletti dalle assemblee statali; in questo modo, sosteneva Jay (FP, 64), i senatori sarebbero stati selezionati in modo più accurato che tramite un'elezione popolare. Il XVII emendamento alla Costituzione (1913), però, stabilì che fosse il popolo di ciascuno Stato ad eleggere i propri senatori, riconoscendo, forse, che il carattere federale del Senato era giudicato già all’epoca obsoleto; si consideri che in ogni Stato era ormai invalsa da tempo la pratica di convocare, da parte dei maggiori partiti americani, dei caucus per indicare i propri candidati alle assemblee statali, chiamate a ratificare, a quel punto, delle decisioni popolari.

Ma è soprattutto l'elezione del Presidente della Federazione che ha subito le trasformazioni più radicali, che ne hanno non solo snaturato, ma addirittura cancellato la natura 'federale' della carica del ‘supremo Magistrato’ degli Stati Uniti. Sempre secondo il dettato costituzionale, in ogni Stato gli elettori avrebbero dovuto scegliere un comitato di Grandi Elettori in numero pari alla somma dei rappresentanti e dei senatori eletti in quello Stato. Essi avrebbero indicato, a scrutinio segreto, due nomi per la carica di presidente, uno dei quali non appartenente al proprio Stato. Le schede elettorali sarebbero state inviate al Senato, dove sarebbero state scrutinate. Sarebbe risultato vincitore il candidato che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, mentre il secondo più votato sarebbe diventato vicepresidente; se nessuno dei candidati avesse guadagnato questo risultato, la Camera dei Rappresentanti sarebbe stata chiamata ad eleggere il Presidente, con una votazione per Stato e non individuale, tra i primi cinque più votati. Sarebbe risultato vicepresidente, anche in questo caso, il secondo più votato (Costituzione USA, art. 2, sez. 1).

Il XII emendamento del 1804 introdusse modifiche alla procedura dell'elezione presidenziale che ne intaccarono la natura ‘federale’: scorporò l’elezione del vicepresidente da quella del presidente; inoltre, nel caso nessun candidato presidenziale avesse ottenuto la maggioranza assoluta, la Camera dei Rappresentanti sarebbe stata chiamata a scegliere tra i primi tre più votati, mentre il Senato avrebbe dovuto procedere specularmente per il vicepresidente. Così diventava improbabile che il presidente e il vicepresidente rappresentassero interessi divergenti delle comunità componenti la Federazione. Ma ciò che definitivamente snaturò le procedure dell’elezione presidenziale furono gli ‘usi di partito’, la pratica dei partiti americani di convocare dei caucus in ogni Stato per scegliere i candidati presidente e vicepresidente, da presentare poi al collegio dei Grandi Elettori. Oggi, quegli ‘usi di partito’ hanno trasformato la procedura dell’elezione presidenziale a tal punto che essa non corrisponde minimamente a quella della Costituzione: i cittadini americani votano i candidati presidenziali, accompagnati ciascuno dal candidato vicepresidente; i Grandi Elettori sono cittadini che si iscrivono nella lista del proprio partito e che sono chiamati a recarsi a Washington per ratificare l’elezione del presidente neo eletto.

La procedura di elezione del presidente della Federazione degli USA ha acquisito, così, un carattere puramente nazionale, perdendo tutti i suoi tratti federali: i candidati sono espressioni di partiti politici che raggruppano, nei loro programmi, interessi nazionali trasversali agli Stati. Emblematica è, a questo proposito, la recente decisione della Corte suprema (i cui membri, la cui carica è a vita, sono pur sempre di nomina presidenziale): la cancellazione dell’interruzione volontaria di gravidanza dal novero dei ‘diritti federali’ ha aperto le porte a norme restrittive negli Stati dominati dai repubblicani, mentre in quelli controllati dai democratici le norme sull’interruzione di gravidanza rimangono più libere. In questa situazione, la natura federale delle istituzioni americane è praticamente del tutto scomparsa: il monopolio dei partiti nella vita politica ha nazionalizzato completamente le procedure decisionali e ha trasformato gli Stati Uniti in un paese preda delle maggioranze variabili, oggi sull’orlo di una guerra civile, la stessa che Calhoun, difensore delle ragioni del Sud alla vigilia della guerra civile, vedeva pericolosamente affacciarsi all’orizzonte nel 1850 e che, secondo le sue previsioni, sarebbe arrivata in occasione di un’elezione presidenziale.

Calhoun aveva delineato il processo politico che stava corrodendo le istituzioni federali e che avrebbe portato al conflitto tra gli Stati: nel vivo della polemica scatenata dall'imposta doganale generale votata dal Congresso nel 1828, fortemente avversata dagli Stati schiavisti del Sud, affermò il diritto di nullificazione del provvedimento da parte del suo Stato di appartenenza, la Carolina del Sud. Calhoun argomentava che la Costituzione USA era stata elaborata e approvata per il 'benessere generale', che non coincide con il bene della maggioranza dei cittadini americani, ma con la composizione del benessere di ciascuna delle comunità in cui si organizza la Federazione. Del resto la Costituzione era stata elaborata per gli Stati che la approvarono, non sopra di essi. Il diritto di nullificazione avrebbe potuto essere esercitato tutte le volte che, secondo Calhoun, il government federale avesse oltrepassato i limiti dei poteri delegati, com’era avvenuto nel 1828 quando, per favorire il Nord in via di industrializzazione, aveva reso impossibile garantire il ‘benessere generale’ della nazione americana (Costituzione USA, art. 1, sez. 8), danneggiando gravemente il Sud.

Rimane sullo sfondo la questione della liceità della schiavitù, ma la riflessione politica di Calhoun invita noi europei a considerare attentamente che procedure democratiche trasparenti basate sulla pura volontà popolare non garantiscono la coesione di una Federazione: se così fosse, essa non sarebbe diversa da uno stato nazionale. Quelle procedure devono mantenere caratteristiche federali: per loro tramite si deve esprimere la volontà dei cittadini della Federazione e delle comunità che la compongono, ciascuna coi propri interessi prevalenti. La coesione di una comunità di Stati che si federano non si dà tutta d’un tratto, ma si costruisce nella partecipazione ad un destino comune; quando ci si sente esclusi da esso, perché la propria voce è soffocata, viene meno il legame tra gli Stati.

 

 

  

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