La firma dell'accordo di Schengen (14 giugno 1985)

Davide Denti. PhD, Università di Trento, 2008. I contenuti di questo articolo sono di sola responsabilità dell’autore e non possono essere in alcun modo attribuiti alle istituzioni europee.
 

Nel dibattito sulla costruzione europea, la politica d’allargamento è spesso indicata come la più efficace politica estera dell’UE – per i più critici, l’unica politica estera UE. In realtà, la politica di allargamento va ben oltre la distinzione tra politica estera e politica interna. Attraverso il processo di allargamento, cambia il numero e la natura degli Stati Membri coinvolti. Si tratta quindi di una politica costitutiva, che modifica l’essenza e l’identità stessa della costruzione europea, avvicinandola al suo obiettivo finale – l’unificazione politica del continente.
 

Allargamento vs approfondimento?

L’accento, anche in ambienti federalisti, è spesso messo sulla contrapposizione tra allargamento e approfondimento della costruzione europea. Da una parte, si teme che l’allargamento sia funzionale a una visione dell’UE come pura zona di libero scambio, ricordando il sostegno britannico all’adesione della Turchia. Dall’altra parte si sostiene, come Macron e i vari governi francesi, che solo una più radicale riforma delle istituzioni possa garantire la governabilità di una Unione a 30 o più membri, rimandando quindi il momento dell’allargamento a un indefinito futuro con il pretesto della “capacità di assorbimento”.

Allargamento e approfondimento della costruzione europea sono in realtà due processi strettamente legati – come le due ruote di una bicicletta. Tutte le riforme dei trattati sono avvenute a monte o a valle di momenti di allargamento. Così è stato per la riforma della costituzione materiale UE (Amsterdam 1999, Nizza 2001, trattato costituzionale, Lisbona 2007), portata avanti in parallelo al grande allargamento a est del 2004-2007.

Inoltre, è dalla relazione tra il dentro e il fuori che l’Europa scopre la sua natura. L’essenza stessa della costruzione europea si definisce in correlazione all’altro. Chiaro esempio ne fu il dibattito sulla possibile associazione della Spagna franchista alla CEE nel 1962: furono i sindacati francesi a opporvisi, spingendo per istituzionalizzare le basi democratiche e di diritti umani del mercato comune – un processo che, secondo Daniel Thomas, può essere definito di “costituzionalizzazione tramite l’allargamento”.[1]
 

Superare l’Europa a più velocità

Una scorciatoia spesso proposta è quella dell’integrazione differenziata, o dell’Europa a due o più velocità, con un nucleo federale incentrato sull’eurozona, e una periferia più lenta la cui integrazione è limitata al mercato unico. Tale proposta è in realtà irrealizzabile per varie ragioni: la complessità legale di una Unione multilivello basata su diversi Trattati costitutivi, il rischio di abbandonare le periferie a uno status subordinato, e infine l’impossibilità di separare nettamente livello europeo e nazionale, strettamente compenetrati.[2]

Rilanciare l’unitarietà dell’Unione per garantirne l’accountability democratica resta la soluzione più lineare. Oggi UE, Schengen ed eurozona costituiscono tre cerchi concentrici con periferie separate. Una Unione a più velocità come l’attuale è troppo complessa per sostenere un sistema democratico compiuto. Ma è lo stesso Trattato UE, all’articolo 10, a stabilire che “il funzionamento dell’Unione sia fondato sulla democrazia rappresentativa”, con la rappresentanza diretta dei cittadini UE nel Parlamento, e degli stati membri nel Consiglio.

Torna qui fondamentale, per superare il deficit democratico e permettere l’avanzamento dell’integrazione, la sottovalutata dimensione dell’allargamento. Far combaciare i cerchi di eurozona e area Schengen, limitando al minimo necessario esclusioni e opt-out, e riportare i trattati dell’eurozona nell’alveo del diritto UE, permetterà di completare un sistema di democrazia rappresentativa di tipo parlamentare, la stessa già ben conosciuta dai cittadini a livello nazionale.

Con l’ingresso della Croazia, l’euro è oggi valuta di 20 stati membri su 27, e Schengen si applica in 23 (più 4 esterni). Altri paesi UE – Romania e Bulgaria in testa – si apprestano a fare lo stesso. Non appena eurozona e area Schengen arriveranno a coprire l’intero territorio dell’Unione, o quasi, si potrà utilizzare appieno le istituzioni UE per un sistema di democrazia rappresentativa di tipo parlamentare, la stessa già ben conosciuta dai cittadini. Ciò permetterà di alleviare la questione del deficit democratico e di procedere ad un nuovo salto integrativo. Riallineando questi cerchi, si potrà ritornare ad approfondire, democraticamente, la costruzione europea.
 

La sfida ucraina

L’aggressione di Putin all'Ucraina ha fatto risvegliare l'Europa da un giorno all'altro in una nuova realtà geopolitica, con il ritorno a una guerra convenzionale su larga scala sul continente europeo. Diversamente che nel caso jugoslavo, quando la politica estera comunitaria era solo agli inizi, questa volta l’UE ha raccolto pienamente la sfida fornendo all’Ucraina un sostegno multidimensionale (finanziario, militare, politico, diplomatico, energetico, commerciale) su scala mai vista prima. Tale sostegno viene oggi espresso in termini di pre-adesione.[3]

Ucraina, Moldavia e Georgia hanno infatti compreso immediatamente il momento storico e hanno colto l'occasione per presentare domanda di adesione all'UE all'inizio della guerra, esprimendo una chiara scelta politica che, diversamente dal passato, è stata ricambiata dai 27 Stati membri UE. Le conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2022, che ne riconoscono “le aspirazioni e la scelta europea” rappresentano un "momento di Salonicco" per il trio orientale. La Commissione ha accelerato le sue procedure per rispondere all'urgenza geopolitica: nel giro di tre mesi ha presentato i suoi pareri sulle domande di adesione (Avis), e già a giugno 2022 il Consiglio europeo ha concesso lo status di paese candidato a Ucraina e Moldavia, stabilendo le condizioni affinché la Georgia ottenga lo stesso (per la Bosnia Erzegovina, lo stesso processo era durato tre anni, dal 2016 al 2019).

Allo stesso tempo, il processo di allargamento ai Balcani occidentali si è sbloccato nel 2022, con l’apertura dei negoziati con Albania e Nord Macedonia, lo status di paese candidato per la Bosnia Erzegovina, e la ormai prossima liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo, paese che – ultimo nella regione – ha inoltrato domanda d’adesione a dicembre, nonostante ancora non goda del riconoscimento di 5 stati membri.

La risposta all'invasione russa dell’Ucraina, così come per quella alla pandemia da COVID-19, ha fornito un nuovo scopo comune a un’Unione troppo a lungo travolta da due decenni di crisi permanente (crisi costituzionale, dell’eurozona, dello stato di diritto, dei migranti) – allo stesso modo dei “grandi progetti” che venti-trent’anni fa hanno catalizzato gli sforzi d’integrazione: mercato unico, moneta unica, allargamento a est. Questa volta si tratta letteralmente di vincere una guerra e di estendere l'ordinamento giuridico UE anche nella parte più a est del continente.

È impossibile dire oggi quando l’Ucraina farà ingresso nell’UE. Le incognite includono non solo le vicende belliche, ma anche i successivi sviluppi politici interni e il progresso nelle riforme. Sulla base dell’accordo di associazione firmato già nel 2014 e con una chiara volontà dei governi ucraini e un forte sostegno pubblico all’obiettivo di entrare in Europa, l’Ucraina potrà fare grandi passi avanti nel prossimo decennio.

La chiara prospettiva dell’adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia, e dei Balcani occidentali, potrà anche spronare una riflessione che porti a una riforma dei trattati, a 15 anni dall’ultima. Si dimostrerà così, ancora una volta, che l’allargamento non è alternativo all’approfondimento dell’integrazione europea, ma che anzi ne è il necessario contraltare.

Se i governi europei sapranno rispondere con lungimiranza, l’Europa unita cui l’Ucraina aderirà sarà un’Unione più funzionale, con meno veti, più competenze e più capacità di agire tanto internamente quanto sulla scena internazionale. E sarà una nuova Europa in cui l’Ucraina avrà senza dubbio ogni diritto di reclamare il proprio posto a tavola, da pari.


[1] Daniel C. Thomas, “Constitutionalization through enlargement: the contested origins of the EU's democratic identity“, Journal of European Public Policy, 13/8, 2006; https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13501760600999524

[2] Davide Denti, “UNIONE EUROPEA: Un’unica Unione per un’unica democrazia”, MentePolitica / EastJournal, 21 Aprile 2015, https://www.eastjournal.net/archives/58182

[3] Per approfondire: Davide Denti, “Verso l’Europa? Il percorso di avvicinamento all’UE”, in Ucraina: alle radici della guerra, a cura di Matteo Zola, ed. Paesi, 2022

 

  

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