Dal 18 ottobre 2022 la Svezia ha un nuovo governo guidato da Ulf Kristersson, leader del Partito Moderato, storico partito conservatore svedese parte del PPE. Il nuovo governo è sostenuto da una coalizione di minoranza di centrodestra: composta oltre che dai Moderati, dai Liberali e dai Democratici Cristiani, e che si fonda sull’appoggio anche dei Democratici Svedesi (ECR nel Parlamento europeo) che non hanno ministri nel governo guidato da Kristersson, ma si limitano ad un appoggio esterno in Parlamento. Infatti, alle elezioni dell’11 settembre 2022, il Partito Socialdemocratico della premier uscente Magdalena Andersson, pur eleggendo il maggior numero di parlamentari (107, sette in più di quelli eletti nella precedente legislatura) non è riuscito, a causa dei risultati negativi dei propri alleati, a confermarsi come forza di governo. Proprio in considerazione del fatto che il Partito Moderato è arrivato solo terzo nella corsa elettorale, i Democratici Svedesi non hanno il ruolo marginale che si potrebbe immaginare venga fornito da un partito esterno al governo. Infatti, i loro 73 deputati rappresentano circa il 40 per cento della maggioranza parlamentare che sostiene il nuovo governo, formata da 176 deputati (su 349 parlamentari che compongono l’intero parlamento svedese).
Il programma presentato dal nuovo governo, fortemente influenzato proprio dai Democratici Svedesi, mette ai primi posti della propria agenda politica un cambiamento politico nella gestione dei flussi migratori che rispecchia un cambiamento che è avvenuto nell’opinione pubblica negli ultimi anni. 

Dalla Seconda Guerra mondiale in poi, la Svezia è stata definita come una democrazia progressista e liberale: l’attuale popolazione svedese comprende numerosi cittadini con radici in Paesi colpiti da guerre e conflitti come la crisi ungherese del 1956, le dittature sudamericane degli anni Settanta, il conflitto fra Iraq e Iran negli anni Ottanta, i genocidi nell’ex Jugoslavia negli anni Novanta. Nel 2015, la Svezia ha accolto più di 160mila richiedenti asilo: tantissimi, per un Paese di 10 milioni di abitanti (solo la Germania accolse più rifugiati quell’anno, a fronte di una popolazione totale di 80 milioni). Questa politica di immigrazione ha contribuito moltissimo a fare della Svezia quello che è oggi, un paese che, soprattutto nelle sue aree urbane, si caratterizza per un forte cosmopolitismo, basti pensare che alcune stime indicano che un cittadino svedese su quattro ha un genitore nato al di fuori del Paese. 

A fronte di tale cosmopolitismo, nell’autunno 2015 proprio i Democratici Svedesi, partito nazionalista e anti-immigrazione che ha avuto tra i suoi militanti e dirigenti anche esponenti con esplicite simpatie neonaziste, iniziarono un feroce attacco alle politiche migratorie del governo socialdemocratico. Contemporaneamente, a livello europeo si giocava una partita politica complicatissima: la Germania, sostenuta fra l’altro dalla Svezia, cercava di spingere gli altri Paesi europei ad assumersi maggiori responsabilità nella gestione collettiva dei flussi migratori: alla fine, come noto, gli stati membri si accordarono per un sistema di quote per redistribuire i migranti, che tuttavia si fece carico solo di 160mila degli oltre 700mila richiedenti asilo fino ad allora arrivati in Europa. Alla fine, anche il governo svedese, allora formato da un’alleanza tra Socialdemocratici e Verdi, iniziò ad applicare politiche più stringenti sul diritto di asilo. Negli anni, il partito dei Democratici Svedesi, così come molti altri partiti di destra in Europa, cercò di ripulire la sua immagine dalle componenti più estremiste e spostò il focus sul tema dell’immigrazione, incorporando nel suo programma elementi come l'antieuropeismo e il sostegno alle comunità rurali. 

Da diversi anni la destra svedese accusa le politiche migratorie dei Socialdemocratici di eccessiva apertura e di essere responsabili di avere indirettamente favorito l’operato delle gang criminali, formate spesso da immigrati di seconda generazione provenienti dalle aree meno integrate e più povere della società. La Svezia è l’unico paese europeo in cui negli ultimi dieci anni sono aumentati gli omicidi da arma da fuoco: secondo i dati del Consiglio per la prevenzione del crimine di Stoccolma, in Svezia ci sono ogni anno circa 4 morti per arma da fuoco ogni milione di abitanti, rispetto a una media europea di 1,6. Si ritiene che una delle maggiori cause di questo problema sia proprio l’esistenza di queste bande criminali in alcune aree del paese. 

Secondo diversi osservatori, la presenza delle gang sarebbe dovuta a gravi problemi di esclusione sociale e disuguaglianze economiche che caratterizzano molte aree urbane della Svezia: soprattutto quelle più povere, alle periferie delle maggiori città.
Alle ultime elezioni i Democratici Svedesi hanno approfittato di questa situazione per aumentare ulteriormente i propri consensi diventando il secondo partito del Paese, ottenendo il 20 per cento dei voti. 

Il nuovo governo guidato da Kristersson dovrà quindi gestire questo delicato tema insieme ai Democratici Svedesi che manterranno un approccio securitario e nazionalista. Sappiamo però bene che il fenomeno migratorio e gli effetti a cascata che provoca (che siano effettivi problemi di sicurezza o di percezione nell’opinione pubblica) può essere gestito solo mettendo da parte le soluzioni nazionali o intergovernative e fornendo risposte europee, a partire dalla riforma del Regolamento di Dublino e proseguendo con la creazione di una politica estera unica dell’Unione europea, che possa affrontare concretamente le cause profonde delle migrazioni e proporre soluzioni efficaci. 

Nonostante il tentativo della Destra svedese di porre al centro del dibattito politico i temi migratori, la vera minaccia alla sicurezza della Svezia proviene dalla sempre maggior aggressività della politica russa tanto che, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il precedente governo guidato da Magdalena Andersson, storicamente contrario all’ingresso della Svezia nella NATO, ha modificato la linea di neutralità del paese scandinavo che aveva contraddistinto l’intera Guerra Fredda (e persino gli anni della Seconda Guerra Mondiale) e ha presentato, congiuntamente alla Finlandia, richiesta di adesione all’Alleanza nel giugno scorso. La Svezia, fin dal momento della presentazione della domanda formale per l’ingresso nella NATO, ha ricevuto l’opposizione della Turchia, che, dopo varie trattative, ha accettato a fine giugno scorso di sostenere le richieste di Svezia e Finlandia, ritirando il veto annunciato in precedenza dal presidente turco Erdogan, il quale aveva accusato Svezia e Finlandia di sostenere e accogliere membri dell’opposizione turca, tra cui esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che il presidente e il suo partito considerano come organizzazioni terroristiche. In particolare, il dibattito tra Svezia e Turchia riguarda alcune decine di dissidenti che il governo svedese ha ospitato in questi anni come rifugiati politici, e che la Turchia vorrebbe fossero estradati poiché li considera terroristi. 

Turchia, Svezia e Finlandia hanno poi firmato, l’estate scorsa, un accordo «per estendere il loro pieno sostegno contro le minacce alla reciproca sicurezza: i due paesi candidati si sono cioè impegnati a una «piena collaborazione con la Turchia nella lotta» al PKK e ai «movimenti ad esso collegati». 

Lunedì 23 gennaio però, il presidente turco Erdogan ha minacciato nuovamente di non sostenere l’ingresso della Svezia nella NATO, dopo alcune manifestazioni contro il governo turco che si erano tenute nei giorni precedenti in Svezia dove alcuni esponenti del partito danese di estrema destra Stram Kurs (“Linea dura”) avevano bruciato una copia del Corano durante una manifestazione davanti all’ambasciata turca di Stoccolma. 

In risposta, Erdogan ha dichiarato che non ci sarà da parte della Turchia “nessuna benevolenza” sulla richiesta di ingresso nella NATO. Le negoziazioni tra Svezia e Turchia sull’accesso alla NATO vanno quindi avanti ormai da mesi. 

In questa ulteriore situazione di difficoltà, il governo Kristersson è presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea per il primo semestre del 2023. La Svezia ha individuato quattro priorità per i lavori durante la sua terza presidenza del Consiglio: sicurezza e unità, competitività, transizione verde ed energetica, valori democratici e Stato di diritto. 

Quello che è certo è che anche Paesi storicamente neutrali come la Svezia, alla fine si stanno scontrando con sfide di portata sovranazionale che non possono più essere affrontate dai singoli Stati ma richiedono soluzioni diverse.

 

  

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