Il Crocus City Hall di Mosca dopo l'attentato del 22 marzo

Nello scorso numero vi avevamo proposto due articoli per cercare di approfondire la situazione nella Federazione Russa: uno sulla morte dell’attivista Alexei Navalny di N. Khrushcheva e un focus sulla mentalità imperialista di Putin scritto da H. Perekhoda (vd Unità europea, 01/2024 – pag. 18). Riallacciandoci a quanto detto, ci siamo chiesti: in questa situazione come ha spostato gli equilibri l’attentato del 21 marzo? E ancora, fino a quando i russi potranno sopportare il regime?

Con sempre maggiore forza il ritorno a quelle che furono le dinamiche dittatoriali diventa una triste realtà, con la pervasività delle direttive presidenziali e della propaganda che arriva anche nelle case e nelle dimensioni intime dei cittadini: là dove un apparente consenso (o un non evidente dissenso) fino a qualche anno fa era sufficiente. Un noi contro loro alimentato da una macchina del fango continua e costante, che mistifica e complica significativamente qualsiasi tentativo di dialogo. La situazione attuale porta una Federazione Russa dove un quarto del Pil è destinato alla spesa militare, i partner economici sono quelli che comprano petrolio e gas o che vendono materiali bellici (Cina, Corea del Nord, i cosiddetti stati -stan) e un crollo demografico specchio dell’incertezza e delle difficoltà del paese reale. Basta però voltarsi indietro per vedere che a dove siamo oggi: con due anni di guerra alle spalle e una propaganda presente in ogni aspetto del quotidiano, si è arrivati in modo graduale e con una serie di scelte coerenti che andavano in questa direzione. Scelte ignorate deliberatamente e che sono passate sottotraccia in Occidente. Facciamo dunque un esercizio mentale: una serie di passi indietro nel tempo prima di porci questa domanda sul presente e sul futuro russo.

Coerenza nel portare avanti i valori e le modalità dell’eredità precedente al crollo del Muro

L’ovvio primo passo ci porta all’operazione speciale di inizio 2022, con i riferimenti al dovere russo di combattere il nazismo ed ancora, al 2020, a quando con un referendum costituzionale Putin si assicurava l’eleggibilità fino al 2036. Più di recente, alla morte di Alexei Navalny e alle elezioni del marzo scorso con un esito annunciato (con Boris Nadezhdin, pacifista, squalificato pur non rappresentando un reale rischio per Russia Unita). Allontanandosi a ritroso dai fatti di questi giorni, emergono le ingerenze e la volontà di mantenere un’influenza diretta nei paesi ex-sovietici (Crimea, Georgia, ma anche Bielorussia, dove poco ha contato il non riconoscimento UE di Aleksandr Lukashenko come presidente), lo spionaggio e l’inquinamento dell’informazione e delle campagne elettorali a ovest di Varsavia. In un percorso quanto mai esempio di coerenza, nel continuare - pur lasciando che in Occidente ci si raccontasse una “svolta liberale” - a portare avanti i valori e le modalità dell’eredità precedente al crollo del Muro e al cambio di bandiera sul Cremlino.

L’emorragia di vite tra i soldati russi causa una continua necessità di nuova linfa.

Per arrivare dove siamo abbiamo visto tutto questo, ma anche le idee di rebranding e riposizionamento nella percezione occidentale: i Mondiali di calcio del 2018, le Olimpiadi, la ricerca di un attento equilibrio tra come la Federazione si presentava all’esterno e la realtà interna. Sono tempi lontani: a margine del Consiglio europeo del 21-22 marzo si è parlato di maggiore sostegno all’Ucraina, di uso dei fondi congelati russi e c’è persino una campagna per raccogliere munizioni in Repubblica Ceca. Putin ha ovviamente rilanciato la minaccia di ritorsioni, accusando l’UE di contribuire all’escalation, con Zelenskyy che dal canto suo ha abbassato a 25 anni l’età di leva, inserendo nel percorso di addestramento molti nuovi giovani che – ha specificato – non saranno inviati al fronte, ma arriveranno al momento di essere chiamati in azione con una preparazione migliore, per quanto possibile viste le circostanze. In Russia invece dal primo aprile 150.000 nuovi coscritti hanno iniziato – come ogni anno in questo periodo – il servizio militare di base e sembra che siano fortemente invitati a scegliere di farlo andando a combattere al fronte, dove l’emorragia di vite tra i soldati russi causa una continua necessità di nuova linfa, rendendo sempre più evidente come per l’esercito della Federazione contino i numeri e non la qualità di addestramento.

A tutto ciò si è aggiunto l’attentato di matrice islamica (al momento versione ritenuta affidabile dagli intelligence occidentali), subito sfruttato dal Cremlino per accusare senza prove Kiev. La strage, la peggiore da quella della scuola di Beslan in Ossezia del Nord, non è sfuggita alle strumentalizzazioni putiniane, che come ad ogni evento traumatico hanno saputo approfittare per stringere la morsa sul Paese. Non faceva comodo infatti a Putin spiegare all’opinione pubblica che la morsa del terrorismo di matrice islamista è ben viva (e gode di una base sicura dove addestrare uomini nelle grandi regioni afghane che i talebani non riescono a controllare). Sembra paradossale che un regime militarizzato come quello di Putin non sia stato in grado di fermare quattro terroristi tanto da provocare 145 morti civili. Tuttavia, una enorme spesa militare non garantisce evidentemente di avere una intelligence efficiente.

In ogni caso, questo non scalfisce il consenso di Putin. Anzi, fornisce una scusa per millantare un legame fra il governo di Kiev e i terroristi.

Infine, fra gli eventi delle ultime settimane ricordiamo il bilaterale tedesco-cinese e la “pace giusta” auspicata dal Cancelliere Scholz, Biden che chiama al voto favorevole il Congresso o le richieste di Zelenskyy di ricevere un trattamento simile a quello riservato ad Israele per le difese anti-missili. Tutto ciò sembra semplicemente andare ad aggiungersi al rumore di un conflitto che mette a dura prova il popolo ucraino, la società occidentale e, appunto, parte dei cittadini russi. Che non dovranno essere sbiaditi quando si redigerà l’elenco delle vittime di questa guerra e che è utile tenere in considerazione quando si cerca di riflettere sulla complessità di quanto stia accadendo.

 

  

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