Il 22 aprile 1724 nasceva a Königsberg (l’attuale Kaliningrad) Immanuel Kant. Il suo pensiero ha segnato la storia della filosofia, ma i federalisti lo ricordano per un’opera in particolare, Per la pace perpetua (1795). Che è una nuova visione della pace e di come realizzarla, per “mettere fine a tutte le guerre, e per sempre”. In modo da apprezzare più compiutamente la portata rivoluzionaria dell’opera di Kant, la introduce un estratto da un saggio di Mario Albertini del 1963, che ne delinea i punti essenziali. 
 

Verso una teoria positiva del federalismo. La pace perpetua

Mario Albertini [1]

Per una singolare coincidenza, all’incirca nello stesso periodo di tempo durante il quale si svolsero in America del Nord i fatti che portarono alla fondazione del primo Stato federale della storia, Kant, indipendentemente da questa esperienza, meditava sul problema del fine generale al quale un mezzo di questo genere deve servire. La sua risposta è netta. Il federalismo serve a stabilire la pace. La pace non va confusa con la pura e semplice mancanza temporanea della guerra. La pace è l’impossibilità della guerra. Nel dominio della politica interna nessuno si sognerebbe di chiamare «pace» l’istante di tempo nel quale non si trova ad essere aggredito e a dover reagire, qualora la situazione normale fosse quella della possibilità permanente di essere aggrediti e della necessità di stare sempre armati per fronteggiare l’aggressione. Tutti lo chiamerebbero un istante di tregua in una situazione di guerra civile generalizzata, universale. Nel dominio della politica internazionale si chiama invece «pace» questo stato di cose. In realtà non si tratta affatto della pace vera e propria. Anche in questo dominio bisogna distinguere la guerra, la tregua e la pace; chiamare tregua, riferendolo alla sfera della guerra e non a quella della pace, ciò che viene indebitamente chiamato «pace», e ridare al concetto della pace il suo vero significato: quello dell’eliminazione della violenza, della pacifica attività disarmata, dell’organizzazione esclusivamente pacifica dell’attività umana.

E tener presente che la pace è impossibile finché il criterio ultimo della soluzione dei contrasti umani sta nella prova di forza delle parti. In questo caso la guerra rientra nell’ordine normale delle cose ed è sempre possibile, e perciò sempre presente anche quando non materialmente combattuta perché durante la tregua, nell’intervallo tra una guerra e l’altra, gli uomini devono tener conto della possibilità permanente della guerra e adattare la loro condotta e il loro animo a questa possibilità, come mostra del resto il fatto che gli Stati si fondano sugli eserciti e sull’obbligo per i cittadini di uccidere e morire per la patria. La pace non è dunque una questione di semplice buona volontà, il proposito unilaterale di non fare violenza ad alcuno, una possibilità dello stato di natura. «Lo stato di natura è piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, anche se non vi sono ostilità dichiarate, è però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi». La pace è l’eliminazione di questa minaccia, è la situazione nella quale gli uomini possono prescindere dalla ipotesi della possibilità della guerra in ogni loro azione. La pace è una organizzazione che ha il potere di impedire agli uomini, isolati o in gruppo, di impiegare la violenza per risolvere i loro contrasti, e di costringerli a risolverli col solo mezzo del diritto. Orbene, a livello internazionale non c’è diritto, in questo senso autentico del termine, senza una «Federazione di liberi Stati».

Kant ha stabilito così, in modo inequivocabile, il nesso tra pace, diritto e federazione, e ha distinto con rigore la sfera della pace dalla sfera della guerra. Il cosiddetto «diritto internazionale», fondato sulla indipendenza assoluta degli Stati, non elimina la prova di forza tra le parti e appartiene alla sfera della guerra. Contro questo «diritto» cui l’Onu, non avendo potere proprio, deve adattarsi, Kant ha scritto una massima da non dimenticare mai: «La guerra e il successo della guerra, la vittoria, non decidono per nulla la questione di diritto».
  

Per la pace perpetua

Immanuel Kant [2]

Articolo preliminare 3

Col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti.

Ciò perché essi minacciano continuamente di guerra gli altri stati, essendo sempre pronti a entrare in scena armati di tutto punto; li incitano a superarsi nella quantità degli armamenti, che non conosce limiti; inoltre, risultando alla fine le spese sostenute per essi in tempo di pace più opprimenti di una breve guerra, sono essi stessi causa di guerre aggressive, per liberarsi di tale peso. A ciò si aggiunga che assoldare uomini per uccidere o per essere uccisi corrisponde a voler usare degli uomini come semplici macchine e strumenti in mano di un altro (lo stato): il che non si concilia con l’umanità presente in ognuno di noi.

Primo articolo definitivo per la pace perpetua

La costituzione civile di ogni stato deve essere repubblicana

La costituzione fondata: 1) sul principio della libertà dei membri di una società (come uomini); 2) sul principio della dipendenza di tutti da un’unica legislazione comune (come sudditi); 3) sulla legge della eguaglianza (come cittadini), è l’unica costituzione che derivi dall’idea del contratto originario, su cui deve essere fondata ogni legislazione giuridica di un popolo; ed è la repubblicana* Questa costituzione è dunque in se stessa, per quanto riguarda il diritto, quella che sta originariamente alla base di ogni specie di costituzioni civili; resta solo da chiedersi se essa sia anche l’unica che possa condurre alla pace perpetua.

Secondo articolo definitivo per la pace perpetua

Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di stati liberi

I popoli, quali stati, possono venir considerati come singoli individui, che nello stato di natura (cioè nell’indipendenza da leggi esterne) si ledono già nel loro essere l’uno accanto all’altro, e ognuno dei quali, per la propria sicurezza, può e deve pretendere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile alla civile, nella quale a ognuno possa venire assicurato il proprio diritto. […]

La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicurato senza una convenzione dei popoli tra loro: sì che diviene necessaria una lega di particolare tipo, che si può chiamare lega della pace (foedus pacificum) e che va distinta dal patto di pace (pactum pacis), per il fatto che questo cerca di mettere semplicemente fine a una guerra, mentre invece quello cerca di mettere fine a tutte le guerre, e per sempre. […]

È comprensibile che un popolo dica: «Tra noi non ci deve essere più nessuna guerra; perché noi vogliamo costituirci in uno stato, cioè dare a noi stessi un supremo potere legislativo, esecutivo e giudiziario che risolva pacificamente i nostri dissensi». Ma se questo stato dice: «Non ci deve essere alcuna guerra fra me e gli altri stati, sebbene io non riconosca nessun potere legislativo supremo il quale garantisca a me il mio diritto e agli altri il loro», allora non si può capire su che cosa io voglia basare la fiducia nel mio diritto, se non su di un surrogato della unione in società […].

Terzo articolo definitivo per la pace perpetua

Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di una ospitalità universale.

[…] Poiché ora, in fatto di associazione di popoli della terra (più o meno stretta), si è progressivamente giunti a un punto tale che la violazione del diritto compiuta in una parte viene risentita in tutte, l’idea di un diritto cosmopolitico non è una rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma il necessario completamento del codice non scritto del diritto statale e internazionale, nel diritto dell’umanità in genere, per l’attuazione della pace perpetua, a cui possiamo sperare di avvicinarci a poco a poco solo a questa condizione.


Bussola federalista è una nuova rubrica che introduciamo nel giornale con lo scopo di riprendere in mano i classici del pensiero federalista: lo strumento con cui orientarci. Ci sarà un breve commento redazionale, per poi lasciare spazio alle parole di Spinelli, Albertini, Kant, Hamilton, Lothian ecc. L’intento è quindi di ricordare che le analisi dei nostri articoli di oggi non possono che trarre ispirazione dai grandi che hanno fondato le basi del federalismo. A seguito della lettura di alcuni brani, può essere l’occasione di leggere o rileggere le opere da cui questi sono estratti.


[1] Tutti gli Scritti, IV. 1962-1964, il Mulino

[2] Edizione BUR Rizzoli, 2003, a cura di Laura Tundo Ferente

 

  

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