Il Procuratore capo della CPI Karim Khan

La sentenza della CPI contro i capi di Hamas e Netanyahu. Cosa può fare la giustizia internazionale, fino alla costituzione di un governo mondiale.

Alla fine della seconda guerra mondiale, con i processi di Norimberga e di Tokio, le potenze vincitrici hanno di fatto allargato il campo di intervento del diritto internazionale rendendo possibile la punizione di singoli individui per aver commesso crimini contro l’umanità. Nel 1948 l’Assemblea Generale della Nazioni Unite ha riconosciuto la necessità di un tribunale internazionale permanente per punire le atrocità commesse dai politici, ma la proposta venne lasciata cadere nel vuoto. Solo alla fine della guerra fredda, la proposta venne rilanciata dal governo di Trinidad e Tobago. Le atrocità commesse nella ex-Iugoslavia e il genocidio in Ruanda nel 1994 fornirono argomenti decisivi per la creazione della Corte Penale Internazionale.

Molte ONG si mobilitarono a sostegno di questa innovazione. Il WFM, grazie al suo segretario generale William Pace, riuscì a mettersi alla testa di una coalizione di circa 2500 ONG. Infine, a Roma venne approvato nel 1998 il trattato per l’Istituzione della Corte Penale Internazionale (ICC), anche grazie al sostegno della Commissaria europea Emma Bonino. Lo Statuto di Roma fu approvato da 120 paesi, tuttavia Cina, Iraq, Israele, Libia, Qatar, USA e Yemen votarono contro. L’Assemblea Generale dell’ONU approvò il progetto nel 2000 che divenne esecutivo nel 2002, dopo la ratifica di 60 paesi.

L’attività della CPI si orientò inizialmente verso crimini commessi da leaders africani in Congo, Uganda, Repubblica Centro Africana, Sudan, Libia, Kenya e Costa d’Avorio. Recentemente, il Procuratore Generale della CPI, Karim Khan, è intervenuto nella guerra in Medio Oriente tra Hamas e Israele spiccando un mandato di arresto nei confronti di: a) Yahva Sinwar, Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri e Ismail Haniyeh “per crimini contro l’umanità commessi nel territorio di Israele e lo Stato della Palestina (Gaza) dal 7 ottobre 2023”; b) Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant “per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel territorio dello Stato di Palestina (Gaza) a partire dall’8 ottobre 2023”.

C’è una costante confusione fra giudizi giuridici e politici, che dovrebbero essere tenuti separati in un sistema politico civile.

La decisione della CPI è stata subito subissate da critiche. Secondo Netanyahu, Khan è “uno dei grandi antisemiti dei tempi moderni” e il Ministro della difesa Gallant ha considerato il mandato della CPI come “un maldestro tentativo di interferire nella guerra”. Queste risposte sono un indice della costante confusione tra giudizi politici e giuridici, che dovrebbero essere tenuti separati in un sistema politico civile. Se, in uno Stato democratico, un individuo uccide un altro individuo (per derubarlo o per altre ragioni) questo individuo viene arrestato e portato di fronte ad un tribunale che, sulla base di una legislazione esistente, deciderà una sentenza di condanna o di assoluzione. A livello internazionale questa procedura è impossibile. Il diritto internazionale contiene un’enorme quantità di norme per la regolazione dei rapporti tra Stati, come entità giuridiche sovrane. Queste norme sono il risultato di una serie di trattati internazionali accumulati nel corso della storia, ma la cui validità è sempre incerta, perché dipende dalla volontà delle parti in causa di rispettarli o violarli, a seconda della loro convenienza. Questa è la differenza fondamentale tra diritto internazionale e diritto nazionale.

Non esiste un governo mondiale che abbia il monopolio della forza militare (una polizia internazionale) per regolare le controversie tra Stati.

Per chiarire questa distinzione consideriamo la nozione di Stato secondo Max Weber: “Lo Stato moderno – afferma – è una associazione di dominio in forma di istituzione, la quale nell’ambito di un determinato territorio, ha conseguito il monopolio della violenza fisica legittima come mezzo per l’esercizio della sovranità”.  Un governo nazionale ha dunque i mezzi materiali, la polizia, per fare arrestare i trasgressori della legge e ha istituito i tribunali per decidere chi è colpevole o innocente. L’eventuale colpevole non può cambiare la legge che lo condanna; può solo appellarsi, eventualmente, ad un secondo livello di giudizio, ma alla fine deve accettare una sentenza. Questa procedura è impossibile nel contesto internazionale, dove gli Stati sovrani sono armati nei confronti degli altri Stati sovrani. Weber non affronta il problema del monopolio della forza militare tra Stati. Nel secolo XXI non è possibile ignorare questo problema. Non esiste un governo mondiale che abbia il monopolio della forza militare (una polizia internazionale) per regolare le controversie tra Stati sovrani mediante una legislazione universale che tutti gli Stati devono rispettare. Come afferma l’art. 2 dello Statuto dell’ONU “i membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici … devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza …”. Pertanto, il diritto internazionale non bandisce gli eserciti; implicitamente ammette che la guerra è legittima. Se applicassimo queste affermazioni ai rapporti tra individui comprenderemmo che si tratta solo di raccomandazioni per l’uso delle buone maniere nei comportamenti sociali. Tuttavia, senza una forza di polizia, individui armati e bande di malfattori governerebbero indisturbati.

Le Nazioni Unite prevedono due tipi di tribunali: la Corte di Giustizia Internazionale, che dirime le controversie tra Stati (ma alla quale non possono adire gli individui), e la CPI, che punisce i crimini contro l’umanità. La CPI rappresenta indubbiamente un tentativo lodevole in difesa dei diritti umani, ma anch’essa deve arrestare il suo raggio d’azione rispettando il tabù della “guerra giusta”. Il governo che dichiara una guerra ha sempre delle buone ragioni da rivendicare e chi si difende ha delle ragioni opposte. È solo la vittoria a decidere chi ha ragione e chi ha torto, mai il diritto. Per uscire da questo Stato di barbarie (come lo definiva Kant) occorre una decisione politica presa da tutti gli Stati delle Nazioni Unite di abolire la guerra, come aveva già indicato Albert Einstein nel 1947: “L’umanità deve rinunciare alla guerra nell’era atomica. È in gioco la vita o la morte dell’umanità. La sola forza militare che può produrre sicurezza nel mondo è una forza militare di polizia sovranazionale, basata su una legislazione mondiale. A questo fine dobbiamo rivolgere le nostre energie”. Quando gli Stati nazionali rinunceranno a farsi giustizia con le proprie armi e accetteranno una sicurezza garantita da una polizia sovranazionale avremo una vera pace e considereremo la guerra un crimine. Non esisterà più una guerra giusta.

 

  

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