Con l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa, per la prima volta da quando esiste il bilancio dell’Unione Europea (UE), quest’ultimo può finanziare direttamente spese nel settore militare. Il Fondo non costituisce ancora un capitolo specifico all’interno del bilancio UE: lo potrà diventare a partire dal prossimo Quadro Finanziario Pluriennale e solo se il Parlamento europeo farà una richiesta specifica in questo senso, anche per rendere più trasparente, agli occhi dell’opinione pubblica europea, quanto l’UE e gli Stati membri spendono per la difesa europea.
Premesso che lo scopo di questo lavoro è quello di fornire degli ordini di grandezza e non cifre precise, si può affermare che la spesa annua aggregata, composta dalla spesa diretta (e attivata direttamente con un effetto moltiplicatore) e, soprattutto, da quella indiretta (e, quindi, opaca), per la sicurezza e difesa europee nell’arco dei prossimi due-quattro anni supererà i 40 miliardi di euro: il 20% dei bilanci nazionali per la difesa, un quarto del bilancio europeo, lo 0,3% del PIL dell’UE e, per dimensione, pari al fondo europeo agricolo di garanzia e maggiore delle spese per la convergenza regionale. Oltre al flusso delle spese annue, occorre tenere conto anche di circa 85 miliardi di euro di investimenti in piattaforme militari che, direttamente e indirettamente, sono al servizio delle spese per la difesa europea (absorption costing).
Nonostante la dimensione delle cifre sia ragguardevole, ancorché poco nota all’opinione pubblica europea, stupisce che, trattandosi della fornitura di un bene pubblico essenziale per i cittadini europei, quale la difesa europea, essa non sia ancora oggetto di un chiaro e trasparente dibattito europeo. Il motivo è contenuto in un rapporto del Parlamento europeo, dove si sostiene che i governi europei sacrificano la capacità operativa in capo all’UE al mantenimento di una sovranità formale[1]. Le elezioni europee del 2019 sono l’occasione per avviare un ampio dibattito europeo per compiere un passo decisivo verso la fornitura di un bene pubblico europeo, con l’istituzione di un “Fondo unico per la difesa europea”, finanziato da un’imposta europea. Il Parlamento europeo, da parte sua, con l’approvazione della Relazione annuale sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune[2], che prevede l’istituzione di una “Direzione Generale della Difesa” all’interno della Commissione europea, ha già avviato la discussione.
Un fondo unico per la difesa europea
Il documento elaborato recentemente da quattordici economisti francesi e tedeschi, tra i quali vi sono i consiglieri del Presidente Macron e della Cancelliera Merkel, sulla riforma dell’eurozona, precisa – e con ragione – che “considerato che un bilancio comune può avere proprietà auspicabili di stabilizzazione, nessun bilancio è mai stato creato principalmente a fini di stabilizzazione macroeconomica. Un effettivo bilancio può solo nascere da decisioni politiche volte a finanziare determinati beni pubblici comuni e a delineare un quadro istituzionale che garantisca un'adeguata responsabilità nei confronti di un organo legislativo “[3]. Sulla stessa linea del documento degli economisti franco-tedeschi si colloca il rapporto dell’High Level Group on Own Resources istituito dal Consiglio e dal Parlamento europeo e presieduto da Mario Monti, secondo cui il problema non è tanto quello delle risorse proprie, quanto piuttosto quello delle politiche europee che le risorse aggiuntive dovrebbero finanziare[4].
Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione (settembre 2017), pur essendosi dichiarato contrario all’idea di un bilancio dell’eurozona, separato dal bilancio dell’UE, non ha chiuso la porta alla possibilità che ai paesi dell’eurozona fossero dedicate risorse specifiche (“il ministro dell'Economia e delle finanze dovrà rispondere del suo operato al Parlamento europeo. Non abbiamo bisogno di strutture parallele. Né abbiamo bisogno di un bilancio per la zona euro; quel che serve è una forte linea di bilancio nel bilancio dell'UE. Non sono nemmeno favorevole all'idea di un parlamento separato per la zona euro. Il parlamento della zona euro è questo Parlamento europeo”). Certamente, il Presidente della Commissione, in una fase difficile, caratterizzata dalla Brexit, dalle proposte di un parlamento europeo dell’eurozona eletto dai parlamenti nazionali e associato a un bilancio dell’eurozona separato dal bilancio dell’UE, si è preoccupato di difendere il quadro dell’UE da spinte centrifughe.
Oggi è possibile fare passi avanti verso l’attribuzione di risorse specifiche all’UE nel settore della difesa europea. Macron, con il suo discorso alla Sorbona, ha aperto alla possibilità che si introducano delle imposte europee, come la tassa sulle transazioni finanziarie e la carbon tax. Il Parlamento europeo, da parte sua, il 14 marzo di quest’anno ha approvato due Risoluzioni in proposito (cfr. nostro articolo di pag. 12, ndr). Nella Risoluzione relativa al Quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo successivo al 2020, viene richiesto che all’interno della rubrica “Sicurezza, pace e stabilità per tutti” siano inseriti i programmi di spesa relativi a “politica estera e di sicurezza comune” e “difesa, compresa la ricerca e l’innovazione”. Inoltre la stessa Risoluzione chiede che “tutte le spese per la sicurezza esterna siano oggetto di una nuova valutazione alla luce della crescente attenzione prestata al settore della sicurezza e della difesa dell’Unione”. La seconda Risoluzione, invece, oltre a chiedere l’adeguato finanziamento delle politiche dell’Unione dotate di un chiaro valore aggiunto europeo, tra cui la difesa, elenca una serie d’imposte europee cui si potrebbe ricorrere per dotare l’UE di risorse proprie e portare il bilancio all’1,3% del PIL[5]. In attesa che si proceda in questa direzione, si possono compiere dei passi intermedi. Occorrerebbe istituire un Fondo unico europeo per la difesa, con due nuovi capitoli di spesa, uno per le spese direttamente sostenute dal bilancio UE e l’altro per quelle ancora sostenute dagli Stati membri. Nel primo caso, si tratterebbe in gran parte di una semplice risistemazione delle voci di spesa esistenti quali quelle relative all’infrastruttura spaziale e per il trasporto logistico aereo e navale, così come il servizio diplomatico europeo che dovrebbe progressivamente sostituirsi a quello nazionale. Nel secondo caso, il capitolo di spesa potrebbe riguardare solo un determinato numero di paesi. In effetti, le principali iniziative multinazionali vedono la partecipazione costante di un gruppo fisso di paesi: Francia e Germania che prendono l’iniziativa, cui aderiscono successivamente Belgio, Lussemburgo e Spagna e, in molti casi, anche l’Italia. Poi, a seconda del tipo di iniziativa, si aggiungono uno o più paesi dell’est europeo. Inizialmente, si potrebbe far ricorso all’art. 41.3 del Trattato il quale prevede che se un gruppo di paesi ha avviato un’operazione militare il Consiglio, su proposta dell’Alto rappresentante, possa istituire a maggioranza un “fondo iniziale” per finanziarla, alimentato da contributi degli Stati. I paesi interessati potrebbero quindi versare in questo capitolo di spesa, istituito all’interno del Fondo unico, le somme che sostengono per la partecipazione alle intese multinazionali e alle operazioni condotte per conto dell’UE e delle Nazioni Unite[6]. Anche se si sarà di fronte ad una semplice partita di giro, si avrà il vantaggio di portare alla luce la spesa effettiva che già si sostiene per la difesa europea. Il collegamento tra Commissione, che gestisce il bilancio, e il Consiglio europeo, che ha la competenza in materia di politica estera e di sicurezza, sarebbe assicurato dall’Alto Rappresentante. Qualora, come sarebbe preferibile, i paesi che hanno avviato le prime intese multinazionali, come l’EATC e Euronavfor, decidessero di cedere la proprietà delle piattaforme militari all’UE, quest’ultima potrebbe prevedere un pagamento dilazionato a favore degli Stati, sgravando i bilanci nazionali di un debito pubblico di pari importo.
[1] Il punto è stato ben sintetizzato in un rapporto del Parlamento europeo, dove si dice che “Per la maggior parte degli Stati membri, la sovranità non riguarda l'essere in grado di agire efficacemente per risolvere i problemi delle loro società. Piuttosto, per loro significa rimanere padroni della decisione finale, anche se ciò impedisce o diminuisce lo sviluppo di una capacità (europea) che potrebbe affrontare i propri problemi.” (Parlamento europeo, State of play of the implementation of EDA's pooling and sharing initiatives and its impact on the European defence industry, giugno 2015).
[2] Parlamento europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2017 sulla relazione annuale sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune (2017/2123(INI))
[3] V.: Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform, CEPR, Policy Insight, n. 91, 1 gennaio 2018
[4] European Commission, Future financing of the EU - Final report and recommendations of the High Level Group on Own Resources, Dicembre 2016
[5] Le imposte cui si fa riferimento sono: l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta sul reddito delle società, il signoraggio (vale a dire gli utili della Banca centrale europea che derivano dal potere di emissione), l’imposta sulle transazioni finanziarie, la tassazione delle imprese nel settore digitale, imposte e tasse ambientali.
[6] Un’altra possibilità che, però, si collocherebbe al di fuori dei trattati, è stata avanzata da Guillaume De La Brosse (G. De La Brosse, Deploying financial tools in support of European defence cooperation, Ares, n. 14, marzo 2017, che suggerisce di sfruttare la sentenza Pringle (“Member States are entitled to entrust tasks to the institutions, outside the framework of the Union, such as task of [...] managing financial assistance”).