Il titolo VIII del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) è dedicato alla “politica economica e monetaria” degli Stati membri.
L’azione degli Stati membri e dell'Unione - ci ricorda l’articolo 119 del TFUE – comprende l’adozione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni[1], condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
Parallelamente questa azione comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione.
Queste azioni degli Stati membri e dell’Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi:
- prezzi stabili,
- finanze pubbliche e condizioni monetarie sane,
- bilancia dei pagamenti sostenibile.
La politica economica.
Tra gli impegni assunti dagli Stati membri dell’Unione europea vi è quello di attuare una politica economica nazionale allo scopo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione (articolo 120 del TFUE).
Il titolo VIII del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) è dedicato alla “politica economica e monetaria” degli Stati membri.
L’azione degli Stati membri e dell'Unione - ci ricorda l’articolo 119 del TFUE – comprende l’adozione di una politica economica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni[1], condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
Parallelamente questa azione comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione.
Queste azioni degli Stati membri e dell’Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi:
- prezzi stabili,
- finanze pubbliche e condizioni monetarie sane,
- bilancia dei pagamenti sostenibile.
La politica economica.
Tra gli impegni assunti dagli Stati membri dell’Unione europea vi è quello di attuare una politica economica nazionale allo scopo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione (articolo 120 del TFUE).
Le politiche economiche degli Stati membri sono, quindi, una questione di interesse comune; queste sono coordinate nell'ambito del Consiglio (articolo 121 del TFUE). Su raccomandazione della Commissione, il Consiglio elabora un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione (riferendo le risultanze al Consiglio europeo).
Il Consiglio europeo delibera sulla base di detta relazione del Consiglio e dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione.
Sulla base di dette conclusioni, il Consiglio adotta una raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima, informando il Parlamento europeo in merito a tale raccomandazione.
E’ compito del Consiglio, su stimolo della Commissione, sorvegliare l’evoluzione economica in ciascuno degli Stati membri e nell’Unione, nonché la coerenza delle politiche economiche con gli indirizzi di massima e procede regolarmente ad una valutazione globale.
Un compito che mira a garantire un più stretto coordinamento delle politiche economiche e una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri.
Per consentire questo adempimento gli Stati membri trasmettono alla Commissione le informazioni concernenti le misure di rilievo da essi adottate nell'ambito della loro politica economica, nonché tutte le altre informazioni da essi ritenute necessarie (“sorveglianza multilaterale”).
Qualora le politiche economiche di uno Stato membro non siano ritenute “coerenti con gli indirizzi di massima” o si ritenga possano rischiare di “compromettere il buon funzionamento dell'unione economica e monetaria”‚ sia la Commissione sia il Consiglio, su raccomandazione della precedente, possono rivolgere, rispettivamente, avvertimenti e necessarie raccomandazioni.
“Evitare disavanzi eccessivi”.
L’articolo 126 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) stabilisce la procedura qualora un Stato membro si trovi in una situazione di disavanzo eccessivo (PDE)[2].
A norma dell’articolo 126, paragrafo 2, del TFUE, la Commissione europea ha il compito di esaminare la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti: a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo (PIL) superi il valore di riferimento del 3 per cento e b) se il rapporto debito/PIL superi il valore di riferimento del 60 per cento a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento a un ritmo adeguato[3].
Cosa accade se questi criteri non vengono rispettati?
Il paragrafo 3 del medesimo articolo 126 è chiaro: se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i predetti criteri, la Commissione prepara una relazione che “tiene conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro”.
Un potere questo che la Commissione ha anche qualora i criteri siano rispettati, ma sussista il rischio di un disavanzo eccessivo dello Stato membro.
La Commissione‚ se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo‚ trasmette un parere allo Stato membro interessato e ne informa il Consiglio che su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale. Se esiste un disavanzo eccessivo, il Consiglio adotta senza indebito ritardo, su raccomandazione della Commissione, le raccomandazioni allo Stato membro in questione al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo.
Le conseguenze di un debito pubblico elevato e l’Italia.
Il 21 novembre scorso la Commissione ha predisposto una relazione, prima fase della PDE, esaminando la conformità dell’Italia nel 2017 al criterio del debito stabilito dal TFUE. Il debito pubblico italiano si è stabilizzato intorno al 131% del PIL. La Commissione europea ha previsto che l'Italia non soddisferà la regola del debito nel 2018 e nel 2019.
La PDE mette in evidenza un problema ormai strutturale del bilancio pubblico italiano. Mentre è sensibilmente in diminuzione il rapporto debito/PIL nella zona euro e in quasi tutti gli Stati membri[4] in Italia il parametro non ha una “spinta” così dinamica al ribasso. Secondo la Commissione europea a favorire la contrazione del debito rispetto al PIL sono gli avanzi primari che vanno a decremento del debito. L’elevato rapporto debito pubblico/PIL implica che ingenti risorse devono essere destinate alla copertura, a danno di voci con maggiore effetto di stimolo, tra cui l'istruzione, l'innovazione e le infrastrutture.
Uno Stato, durante le congiunture avverse, come quelle prossime del 2019, nell’intento di favorire la crescita, può intervenire nell’economia ricorrendo al disavanzo di bilancio, quando le entrate (essenzialmente il gettito fiscale) supera le uscite (spesa pubblica), con indebitamento pubblico (deficit spending); ciò significa ricorrere alla emissione di titoli del debito che, per essere appetibili sul mercato, necessitano di essere collocati con tassi di rendimento elevati.
L’aumento della spesa pubblica va valutato in termini relativi, confrontando cioè i tassi di interesse sui titoli di Stato, tra quello italiano e quello della Germania (Bundesanleihe). Lo spread, la differenza di rendimento tra i due titoli di Stato, si determina in base a libere contrattazioni sui mercati dei titoli (mercato secondario). Il grado di fiducia degli investitori/creditori determina il rendimento (misurabile attraverso eventuali squilibri tra domanda e offerta di titoli).
Lo spread è (anche) una misura della capacità di rifinanziare il proprio debito pubblico: maggiore è lo spread, minore è questa capacità. Lasciare in “alta quota” lo spread significa incidere sui tassi ai quali lo Stato deve emettere i titoli in asta per poterli collocare; nel medio-lungo termine può condurre alla dichiarazione di insolvenza sovrana, fallimento, bancarotta o default dello Stato o a misure di politica di bilancio fortemente «restrittive» (riduzione della spesa pubblica e/o aumento della tassazione sui contribuenti), con effetto inevitabile di diminuzione del reddito (dunque della domanda) e degli investimenti e quindi, in ultimo, ripercussioni negative sulla crescita economica.
[1] Gli obiettivi dell'Unione sono definiti all’articolo 3 del trattato sull'Unione europea e nel contesto degli indirizzi di massima di cui all'articolo 121, paragrafo 2, del TFUE.
[2] Per meglio chiarire la disciplina si veda in ordine cronologico:
- il Regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 che fa parte del Patto di stabilità e crescita (PSC). Questo ha inteso rafforzare le disposizioni sulla disciplina fiscale nella Unione Economica e Monetaria dopo il Trattato di Maastricht ed è entrato in vigore il 1º gennaio 1999;
- il Regolamento (UE) n. 1176/2011 del 16 novembre 2011, che è intervenuto sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici. Insieme ad altri 4 Regolamenti e 1 Direttiva (c.d. “six-pack”) ha modificato il PSC;
il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (cd. “Fiscal Compact”) firmato in occasione del Consiglio europeo dell’1-2 marzo 2012. Questo è un trattato intergovernativo, un “patto di bilancio”, tra Stati membri della zona euro e alcuni altri membri dell'UE. Si discute se integrare, come originariamente previsto, il suo contenuto nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea;
- il Regolamento (UE) n. 473/2013 del 21 maggio 2013 (uno dei due Regolamenti del c.d. “two-pack”) che ha riservato una procedura ad hoc per gli Stati membri della zona euro, prevedendo disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi. Questo integra nel diritto dell'Unione alcuni degli elementi del Fiscal Compact, tra cui l'obbligo per gli Stati membri soggetti a procedura per i disavanzi eccessivi (PDE) di predisporre programmi di partenariato economico e l'obbligo di coordinare ex ante i piani di emissione del debito pubblico degli Stati membri.
[3] I valori di riferimento sono specificati nel protocollo n.12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati (art. 1).
[4] Il rapporto debito pubblico/PIL della zona euro dovrebbe diminuire, passando dall'86,9 % nel 2018 all'84,9 % nel 2019, per poi scendere all'82,8 % nel 2020. Nell'UE-27 il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe scendere dall'80,6 % del PIL nel 2018 al 78,6 % nel 2019 e al 76,7 % nel 2020.