La definizione di grandi accordi commerciali, come noto, si sono trasformati nel bersaglio preferito di movimenti no-global e hanno subito una sonora battuta d’arresto con la nuova amministrazione americana. Nonostante ciò, l’Unione Europea post Brexit rimane coerente con la sua politica commerciale estera nella creazione di sviluppo economico per i Paesi membri proprio grazie alla definizione di accordi di grande respiro sul quale sviluppare solide relazioni economiche con i partner economici e mantenere così l’iniziativa nella definizione di regole e standard non imposti da altre potenze economiche.

In questo travagliato contesto il CETA (Comprehensive Economic Trade Agreement), l’accordo commerciale tra Canada e Unione Europea, rappresenta non solo una significativa occasione “economica” per imprese esportatrici europee di beni e servizi (a tal proposito la Commissione Europea ha pubblicato le stime per Paese e comparto economico dei possibili vantaggi sul sito http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ceta/ceta-in-your-town/ ), bensì un chiaro messaggio politico della solidità delle istituzioni politiche europee nella costruzione di relazioni commerciali con metodi democratici rispetto a quanti auspicano la ripresa di politiche commerciali estere nazionali.

Il CETA, dopo sette anni di negoziati, è stato sul punto di affondare definitivamente a ottobre 2016 a causa dell’opposizione dei valloni in Belgio, per poi essere infine approvato dal Parlamento europeo il 15 febbraio 2017, con 408 voti a favore e 254 contrari.

Il Presidente Jean-Claude Juncker ha dichiarato nell’occasione del voto: "Il voto odierno del Parlamento europeo è una tappa importante del processo democratico di ratifica dell'accordo raggiunto con il Canada e consente anche la sua entrata in vigore provvisoria. Le imprese e i cittadini dell'UE cominceranno quindi a beneficiare quanto prima dei vantaggi offerti dall'accordo.”

La strada del CETA, tuttavia, è ancora lunga. Essendo stato classificato come trattato “misto”, ossia trattato che investe materie di competenza condivisa tra UE e Stati membri, esso dovrà essere ratificato dai 28 Stati membri dell’Ue per poter entrare effettivamente in vigore (una procedura che una commentatrice dell’inglese Guardian ha definito “vetocrazia localistica”). Ad oggi il CETA è stato ratificato solo da Lettonia, Danimarca, Croazia e Spagna.

In Italia la ratifica del Trattato, dopo aver incassato il voto favorevole alla Camera dei Deputati, si è fermato in Senato al crescere delle posizioni contrarie dentro e fuori dal Parlamento e pertanto ha rimandato la sua votazione definitiva dopo la pausa estiva. In Francia, il Presidente Macron, convinto sostenitore del CETA, ha placato le forze contrarie alla ratifica creando una commissione di Saggi che definisse il reale impatto dell’Accordo sull’economia francese. In Germinia, la ratifica del CETA potrà essere votata se non dopo le elezioni politiche nazionali d’autunno.

A causa della lentezza della procedura di ratifica nei Paesi europei, il 9 luglio 2017, durante il G20 in Germania, il primo ministro canadese Justin Trudeau e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker hanno rilasciato una dichiarazione congiunta con cui si sono impegnati a far partire “provvisoriamente” l’accordo a partire dal prossimo 21 settembre.

L’applicazione provvisoria rende applicabile la quasi totalità delle clausole del Trattato eccetto la messa in funzione degli ISDS, al momento ancora il tema più controverso, e potrà rendere visibili gli immediati vantaggi economici dell’accordo e facilitare così le procedure di ratifica nazionali.

La definitiva approvazione del CETA può diventare il più significativo successo politico dell’Unione Europea e spianare la strada ad altre parterships (come con il Giappone) dopo la virata protezionistica degli Stati Uniti di Trump e la Brexit, e dimostrare la forza istituzionale dell’UE nei confronti delle spinte centrifughe, populiste e antiglobalizzazione.

 

Il Comprehensive economic and trade agreement (Ceta) prevede tra le altre cose:

  • l'eliminazione 98% dei dazi sulla maggior parte di beni e servizi tra UE e Canada (dal quale sarebbero escluse le carni bovine e suine);
  • il mutuo riconoscimento della certificazione per una vasta gamma di prodotti
  • l’apertura al mercato degli appalti pubblici federali e municipali alle imprese europee (per lo stato nordamericano il mercato europeo è già accessibile) con l’esclusione di alcuni settori come sanità, istruzione e trasporti;
  • l’armonizzazione delle regole in materia di sicurezza alimentare e ambiente verso i più stringenti standard europei e la tutala di 173 indicazioni geografiche europee, di cui 41 sono italiane.

Secondo alcune stime ufficiali europee, entro qualche anno dall’entrata in vigore dell’accordo le entrate annuali per l’Ue aumenteranno di quasi 12 miliardi di euro, con un incremento complessivo delle esportazioni di oltre il 24%.

  

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