Quali opzioni ha la nuova legislatura del PE, per rimettere in moto il processo della Convenzione?

Come noto, il 22 novembre scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione contenente diverse proposte di riforma dei Trattati europei, dando seguito a quelle che erano le raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa. In base all’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, spetta ora al Consiglio europeo convocare una Convenzione, come previsto dalla procedura di revisione ordinaria. L’art. 48 purtroppo non chiarisce i termini entro cui il Consiglio debba dare seguito all’azione del Parlamento. L’esito del voto dell’Eurocamera ha sicuramente il pregio da una parte di aver rimesso in moto il cantiere della riforma dei trattati, ma dall’altra parte lo ha fatto in modo molto limitato rispetto a quanto in realtà dovrebbe essere per un tema del genere. 291 voti favorevoli su 274 contrari non attribuiscono alla votazione un peso politico rilevante, tale da spingere gli Stati membri a prendere posizione nell’immediato. Questo potrebbe in parte spiegare il non voto nel Consiglio europeo del marzo scorso.

In realtà, la proposta non è stata del tutto abbandonata. Lo si evince dalle conclusioni del Consiglio europeo dove, unendo il punto delle riforme a quello dell’allargamento, viene riportato: “il Consiglio europeo ha fatto il punto sui preparativi per l'allargamento e le riforme interne ricordando che i lavori su entrambi i fronti devono avanzare in parallelo per garantire che sia i futuri Stati membri che l'UE siano pronti al momento dell'adesione. Il Consiglio europeo si occuperà delle riforme interne in una prossima riunione con l'obiettivo di adottare, entro l'estate del 2024, conclusioni su una tabella di marcia per i lavori futuri.”  

Charles Michel ha risposto che il tema verrà affrontato al momento opportuno, senza confermare se ciò avverrà a partire dal prossimo Consiglio europeo di giugno.

Si tratta quindi di una “non decisione” che lascia al momento aperta la possibilità di proseguire, seppur con minor entusiasmo, sulla strada della convocazione di una Convenzione. Oltre al peso politico della votazione, come ricordato, si somma anche la chiara mancanza di una maggioranza tra gli Stati membri favorevoli alla convocazione. Anche la Commissione europea non è distante da tali posizioni, in quanto in una sua comunicazione sulle riforme e sulle revisioni strategiche pre-allargamento, alla vigilia del Consiglio europeo del marzo scorso, dichiara sì che le riforme sono “indispensabili”, ma ignorando la richiesta del Parlamento europeo e continuando a proporre che “la governance dell'UE possa essere rapidamente migliorata sfruttando appieno il potenziale dei trattati attuali”. L’urgenza delle riforme è riconosciuta da più parti ma richiede una forte volontà politica da parte degli Stati.

Il Presidente del Consiglio Charles Michel, incalzato dai federalisti (lettera sottoscritta da Domènec Ruiz Devesa per l’UEF, Sandro Gozi per il Gruppo Spinelli, Guy Verhofstadt per lo European Movement International, Christelle Savall per la JEF Europe) ha risposto che il tema verrà affrontato al momento opportuno, senza confermare se ciò avverrà a partire dal prossimo Consiglio europeo di giugno. È chiaro che entrambe le istituzioni, Commissione e Consiglio, non hanno la volontà di affrontare il tema alla vigilia delle elezioni europee, screditando il lavoro della Conferenza e ponendo al limite il principio di leale cooperazione previsto dai trattati.

L’atteggiamento del Consiglio porta inevitabilmente a dover valutare quali azioni possono essere intraprese per accelerare il processo di revisione. C’è chi propone un ricorso del Parlamento europeo alla Corte europea di Lussemburgo per violazione dell’art. 48 (convocazione Convenzione) e dell’art. 13 (leale cooperazione). Si tratta senza dubbio di un atto molto forte da parte del Parlamento; tuttavia, come ricordato prima, i trattati non prescrivono un limite temporale da rispettare e la violazione della leale cooperazione fra le istituzioni è un’accusa difficilmente sostenibile di fronte alla Corte.

Ardua appare anche la strada di chiedere al nuovo Parlamento europeo, che sarà eletto dal 6 al 9 giugno, di redigere un nuovo testo di risoluzione, anche perché vorrebbe dire interrompere l’iter attuale e farne ripartire un altro, sempre con la stessa conclusione, ovvero la richiesta di consenso da parte dei governi nazionali, gli stessi che stanno frenando la richiesta attuale.

Il nuovo Parlamento potrebbe porre come condizione per l'elezione del nuovo Presidente della Commissione Europea, il sostegno alla richiesta di aprire una Convenzione.

L’apertura di una Convenzione al momento è l’unica proposta concreta sul campo, una richiesta “istituzionale”, frutto di un percorso iniziato con la Conferenza sul futuro dell’Europa. Un’azione sostenuta dai federalisti, che è prematuro abbandonare. Indubbiamente i tempi non sono brevi (con il via libera a giugno la Convenzione potrebbe essere inaugurata inizio 2025), ma in vista di nuovi ingressi pare l’unica strada capace di conciliare la volontà unanime delle istituzioni di procedere in parallelo tra allargamento e approfondimento.

Il nuovo Parlamento dovrà continuare sulla strada intrapresa da quello uscente, ad esempio ponendo, come condizione per l'elezione del nuovo Presidente della Commissione Europea, il sostegno alla richiesta di aprire una Convenzione, inserendola ad esempio nella discussione del prossimo programma di lavoro della Commissione. Un’azione del Parlamento che potrà e dovrà partire dai gruppi politici che si sono espressi favorevolmente nella votazione del 22 novembre scorso.

L’ostacolo più grande ad ogni modo rimane l’unanimità dei consensi necessaria per completare la procedura di revisione. Per l’avvio della Convenzione è sufficiente la maggioranza semplice ma le modifiche da apportare ai trattati possono entrare in vigore solo dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri. Ecco che allora l’avvio della Convenzione può servire a far emergere con chiarezza quali Stati membri desiderano compiere maggior passi avanti e quali invece desiderano mantenere il livello attuale di integrazione. L’alternativa dell’Europa a due velocità. Può essere quindi la Convenzione il luogo in cui discutere anche della modifica al processo di ratifica (ad esempio adottare nuove regole per un referendum europeo) per permettere ai Paesi che intendono adottare le modifiche di farlo.

È evidente che la radice del problema è di natura politica, perché è legata alle differenti visioni e volontà degli Stati membri. L’ultima riforma organica dei Trattati è avvenuta nel 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Non vi è alcun dubbio sull’urgenza dell’aggiornamento richiesto, poiché il livello raggiunto dalle sfide che ci troviamo ad affrontare non ammette ulteriori ritardi. Purtroppo, nonostante l’urgenza delle riforme sia riconosciuta da più parti, il processo di modifica dei trattati non sembra essere uno dei temi di discussione nella campagna elettorale europea. Un’ulteriore dimostrazione dell’importanza dell’azione dei federalisti per ricordare la posta in gioco e che, come riporta il Manifesto di Ventotene, “se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie”.

 

  

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