Il 23 febbraio 1981 il tenente colonnello Antonio Tejero occupò con qualche centinaio di guardie civili il Congresso dei deputati per rovesciare la democrazia spagnola da poco rinata ed instaurare un regime militare. I golpisti diedero ordine ai deputati di buttarsi tutti per terra. Solo in tre non obbedirono: Adolfo Suárez, Manuel Gutiérrez Mellado, Santiago Carrillo. Suárez, ultimo segretario del Movimiento franchista, era stato scelto dal re come capo del governo per assicurare una transizione indolore dopo la morte di Franco ed in quel momento, dopo aver dato le dimissioni, stava assistendo al voto di investitura del suo successore. Il generale Gutiérrez Mellado, vicepremier di Suárez, si era distinto come fervente golpista nell'assedio di Madrid ai tempi della guerra civile ed ora, pur vecchio e malandato, affrontava Tejero ordinandogli di abbandonare l'aula. Sul lato sinistro dell'emiciclo solo un deputato se ne stava seduto al suo posto fumando una sigaretta: Santiago Carrillo, segretario del Partito comunista, avversario di Gutiérrez Mellado negli Anni Trenta ed ora come lui deciso ad opporsi ai nuovi golpisti anche a costo della vita. Tre uomini, tre storie, un solo destino: approdati alla cittadella democratica da ben diverse sponde, con quel gesto coraggioso difendevano il nuovo regime costituzionale che avrebbe ben presto fatto a meno di loro.
Fin da Omero i traditori hanno avuto una pessima fama. Basti pensare alla pena loro assegnata da Dante nell'ultimo cerchio dell'Inferno. Eppure si può tradire il bene per il male, il giusto per l'ingiusto, ma si può anche compiere la scelta contraria. Vero è che in questo caso non si parla più di tradimenti, ma di conversioni. Gli ex sodali dei malfattori non seguono però questo doppio standard linguistico. “Infami” vengono per esempio definiti i collaboratori di giustizia dai mafiosi.
“Per me oggi la nazione è come un organismo che prima di tutto deve vivere, e quindi è naturale che debba vivere anche a spese di altri organismi nazionali. La giustizia, l'equità, sono vuote astrazioni nei rapporti internazionali, in cui conta solo la forza. Chi nella politica estera si lascia guidare da quegli ideali indebolisce il proprio paese e così fa l'interesse degli stranieri.” Sono parole del giovane Ernesto Rossi, tanto ammaliato dalle sirene nazionaliste da riconoscere più tardi: “Se non avessi incontrato sulla mia strada al momento giusto Salvemini, che mi ripulì il cervello da tutti i sottoprodotti delle passioni suscitate dalle bestialità e dalle menzogne della propaganda governativa, sarei facilmente sdrucciolato anch'io nel fascismo.”
Le vicende che hanno condotto l'altro autore del Manifesto di Ventotene al progressivo distacco dal comunismo e dalla sua versione stalinista sono troppo note per dover essere raccontate, come sono note le accuse di tradimento e l'ostracismo che il “convertito” Altiero Spinelli, “meteco della città democratica”, dovette subire dagli ex compagni di partito e di fede politica.
Furono forse queste vicende personali che spinsero Spinelli ad una assoluta intransigenza nei confronti dei nazionalismi di tutte le risme, ma anche a svolgere un ruolo pedagogico per convincere partiti ed uomini politici a compiere la scelta europea. Operazione in cui ebbe al suo fianco i militanti federalisti e che fu coronata dal successo prima coi socialisti e poi coi comunisti, anche se il nostro spettro d'azione non si è mai limitato alla sola Italia. In anni recenti il ruolo delle nostre sezioni nel promuovere la conversione delle nuove forze politiche affacciatesi sulla ribalta nazionale non è stato certo secondario. Basti pensare all'evoluzione del M5S nella scorsa legislatura.
Fedele a questa impostazione, il Comitato federale dello scorso novembre ha approvato un memorandum in cui si precisano le coordinate entro cui dovrebbe muoversi il nuovo esecutivo presieduto da Giorgia Meloni perché l'Italia “svolga adeguatamente il proprio ruolo di Paese fondatore”. E' sicuramente troppo presto per dare un giudizio sulle prime mosse del governo, ma qualche indizio si può forse già cogliere. Innanzitutto va registrata con favore la sobrietà con cui Fratelli d'Italia ha celebrato il suo indubbio successo elettorale, soprattutto se paragonata agli eccessi che abbiamo visto nel 2018. Anche la legge di bilancio per il prossimo anno, che rappresentava il primo vero banco di prova per la maggioranza di centro-destra, è stata predisposta tenendo conto dei notevoli vincoli imposti dalla situazione internazionale e in un confronto costruttivo con la Commissione europea. Non è stato certo facile resistere agli assalti dei partiti della stessa maggioranza, ma bisogna riconoscere che, al di là di alcune misure discutibili, il governo si è mosso in sostanziale continuità con le scelte compiute da Draghi e comunque con l'intenzione di non sfidare né le istituzioni europee né i mercati. Se, come sembra ormai probabile, l'esecutivo riuscirà anche a raggiungere i 55 obiettivi previsti per il secondo semestre 2022 dal PNRR, avrà posto le condizioni non solo per ottenere la terza rata dei fondi europei, ma anche per dimostrare la propria determinazione nel portare in porto l'imponente mole di progetti, opere e riforme previste dal Piano stesso per i prossimi anni. La recente annunciata disponibilità da parte della Presidente Meloni a metter mano alla ratifica del MES, pur accompagnata dalla promessa che “sicuramente l’Italia non accederà al MES”, va nella giusta direzione per assicurare credibilità al governo e soprattutto al Paese. Una mossa che ha spinto qualche commentatore ad affermare che la nuova premier è specialista in retromarce e qualche altro a mettere in fila tutti i solenni impegni presi negli ultimi anni e che ora sta ponendo in discussione o abbandonando.
Non vanno certo dimenticati i segnali che vanno nella direzione opposta: l'aver mantenuto la fiamma tricolore nel simbolo del partito, le polemiche di qualche ministro sulla politica monetaria della BCE, le frequenti rivendicazioni della sovranità nazionale, lo scontro con la Francia sull'immigrazione.
Sarebbe fin troppo facile allungare questa lista, ma è forse preferibile tornare al tema da cui eravamo partiti. Nel romanzo dedicato al colpo di stato del 23 febbraio lo scrittore Xavier Cercas ricorda che Hans Magnus Enzensberger ha individuato una nuova categoria di eroi: gli eroi della ritirata. Non è certo casuale che il filosofo tedesco abbia pubblicato il suo saggio nel 1989, l'anno della caduta del Muro di Berlino. Proprio allora sulla scena mondiale si manifestavano tutta la grandezza e tutte le contraddizioni del più grande di questi eroi: Michail Gorbačëv. L'autobiografia dell'ultimo segretario del PCUS, scomparso proprio nell'anno che volge ora al termine, non delinea affatto un cavaliere senza macchia e senza paura, un idealista dai principi incrollabili, un dominatore degli eventi. Emerge invece un personaggio pieno di dubbi, disposto ad accordi e compromessi, più volte incerto sulla strada da prendere, consapevole dei propri errori, ma infine dotato del coraggio necessario per mettere in gioco tutto, compreso il proprio potere (“e mai nessuno si è ritirato di buon grado dalla scena politica nel nostro paese”, commenta sconsolato).
Quel che possiamo aspettarci anche da Giorgia Meloni nei prossimi mesi ed anni non è certo una conversione sulla via di Damasco. Troppo forti sono i suoi legami con la tradizione del MSI e troppo forti sono i vincoli che il suo partito le pone. Sarebbe già tanto se, al di là degli scontati tatticismi di cui ha dato prova, emergesse pian piano una direzione di marcia al termine della quale fosse ben visibile un sicuro approdo europeo. Non si può purtroppo nemmeno escludere che gli inevitabili ostacoli e le difficoltà che incontrerà sul cammino provochino un arroccamento nazionalista e la volontà di scaricare sull'Europa le colpe delle proprie indecisioni e dei propri fallimenti. In tal caso noi non saremo solo spettatori.